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Battaglia sul fine vita
La questione del fine vita torna per l'ottava volta all'attenzione della Corte Costituzionale italiana, in seguito a un'ordinanza depositata il 29 settembre dal GIP del Tribunale di Bologna, Andrea Romito. Il giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 580 del Codice penale, che disciplina l'istigazione o l'aiuto al suicidio, in risposta a una richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Bologna due anni e mezzo fa.
Il procedimento riguarda specificamente l'episodio che ha visto coinvolti Felicetta Maltese, Virginia Fiume e Marco Cappato, indagati per aver accompagnato l'8 febbraio 2023 in Svizzera la signora Paola, un'89enne affetta da parkinsonismo irreversibile. La paziente, pur essendo «lucida e consapevole», non era, tuttavia, dipendente da un trattamento di sostegno vitale e non avrebbe potuto ricorrere ad alcuna forma di rifiuto delle cure, potendo morire «solo mediante suicidio medicalmente assistito».
Il nodo centrale, sottolineato dall'associazione Luca Coscioni che segue il caso, è proprio il «requisito del trattamento di sostegno vitale». Il GIP di Bologna ha infatti rilevato che il limite imposto dalla precedente sentenza della Corte Costituzionale, che pure aveva legalizzato il suicidio assistito a determinate condizioni, «crea una discriminazione tra pazienti», impedendo a coloro che soffrono in modo irreversibile, ma non sono attaccati a macchinari, di esercitare pienamente il diritto all'autodeterminazione.
La questione di legittimità, con il conseguente sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Consulta, è stata sollevata in relazione al rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, libertà personale e diritto alla vita privata, oltre che all'articolo 8 della CEDU (Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo). Spetterà ora alla Corte Costituzionale chiarire se il criterio del «sostegno vitale» rappresenti un limite ingiustificato al diritto di scelta del malato.