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«Chi parla per noi?» è la domanda che si è posto l’esecutivo di Magistratura democratica in merito al caso Uss e all’accoglienza riservata a Nordio dai loro colleghi milanesi qualche giorno fa quando il Guardasigilli si è recato nel capoluogo lombardo per intervenire al convegno sul “Nuovo sistema del brevetto unitario” nell’aula magna del Palazzo di Giustizia. Facciamo due passi indietro.
Qualche settimana fa il Guardasigilli ha avviato una azione disciplinare contro tre giudici della Corte di Appello di Milano che hanno messo ai domiciliari con braccialetto elettronico il russo Artem Uss, poi fuggito. L’iniziativa di Nordio scatenò una durissima reazione da parte delle toghe milanesi che si riunirono il 19 aprile sempre nell’Aula Magna del Palazzo di giustizia: «Una partecipatissima assemblea dell’Anm locale, nella quale molte magistrate e magistrati, e gli stessi dirigenti dei principali uffici giudiziari del distretto, hanno espresso seria preoccupazione per l’iniziativa disciplinare», si legge in una nota di Md. Il timore è quello che si venga ad innescare una giurisdizione difensiva e carcerocentrica. Tutti i gruppi associativi rivolsero poi pesanti critiche al ministro. La stessa Anm aveva espresso «forte e viva preoccupazione».
E ora veniamo al giorno della visita di Nordio a Milano, ossia giovedì scorso, quando ci tenne a dire che con le toghe milanesi «possono esserci delle divergenze di opinione, ma su alcuni principi voglio essere chiarissimo: autonomia e indipendenza della magistratura sono principi sacrosanti». Come gesto di distensione, ci fu pure un abbraccio tra Nordio e Ondei, il presidente della Corte d’Appello di Milano. Come raccontato da Repubblica, inoltre, il presidente vicario del tribunale di Milano Fabio Roia, che aveva parlato di «deriva pericolosa», ringraziava Nordio «per averci rassicurato sui principi fondamentali» come indipendenza e autonomia della magistratura, principi necessari per una «leale e sana collaborazione». Questa rappresentazione non ha preso l’applauso di Md, che ha ricordato che quel 19 aprile «tutti, dirigenti compresi, hanno approvato all’unanimità un documento nel quale si sottolinea a chiare lettere come l’iniziativa del ministro costituisca un inedito, e quanto mai pericoloso, uso strumentale dell’iniziativa disciplinare per intaccare le prerogative di autonomia e di indipendenza della magistratura, affermando un inammissibile sindacato politico su provvedimenti giudiziari fisiologici e motivati, la cui eventuale impugnazione e correzione è, e deve restare, interna alla giurisdizione e sottratta al potere politico, vieppiù in casi in cui il ministero è parte del procedimento e ben può ivi fare sentire la sua voce».
Poi però sembra tutto dimenticato quando Nordio arriva a Milano il 27 aprile: la sua presenza, secondo le toghe guidate da Stefano Musolino e Cinzia Barillà, avrebbe dovuto rappresentare «una giusta e doverosa occasione di puntualizzazione di quanto accaduto e di riaffermazione, da parte della magistratura milanese, della sua dirigenza e della sua rappresentanza associativa, delle ragioni di preoccupazione e di protesta nei confronti di quell’iniziativa disciplinare, così convintamente espresse pochi giorni prima, visto che è stato lo stesso ministro ad affrontare la questione in quella sede».
Invece, «le immagini dell’evento e le dichiarazioni fatte dallo stesso ministro, e da alcuni dirigenti, vogliono restituirci il quadro di una quasi esibita ed eccessiva cordialità, spinta oltre i protocolli di visita istituzionale, per accompagnare una narrazione di composizione e di rassicurazione che, crediamo, non corrisponde alla realtà percepita dall’intera magistratura. Non possiamo “sentirci rassicurati” dalle generiche petizioni di principio del ministro sul rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, quando l’azione politica si muove in senso contrario: nessun ripensamento, e anzi convinta insistenza, sul procedimento disciplinare».
Conclude quindi l’esecutivo di Md: «Di fronte a tutto questo la domanda che viene spontanea è chi parla per noi? I dirigenti di uffici di eccellenza come quelli milanesi ( rispetto, peraltro, alle poche risorse riversate sul resto degli uffici giudiziari italiani) o la voce corale - ma forse ingenua a questo punto? - di un popolo di magistrate e di magistrati che, attraverso la sua associazione, non guarda al colore del ministro o alla sua provenienza dalle nostre stesse file per denunciare pericolose derive verso una magistratura sempre più condizionata dalla politica e quindi verso una cittadinanza sempre meno garantita e libera? L’abbassamento della voce spesso costituisce un segnale di un malessere più occulto e grave; non lasciamola cadere nel vuoto e torniamo a farla sentire».