Il dibattito sul fine vita cambia rotta e si sposta sull’eutanasia. Un’ipotesi che in Italia è sempre illegale, a differenza del suicidio assistito, e sulla quale tribunali e Parlamento parlano due lingue diverse.

Così sembra, almeno, dopo la giornata di ieri. In cui sono successi due fatti uguali e (apparentemente) contrari: da una parte le audizioni al Senato nell’ambito dell’esame del ddl del centrodestra firmato da Pierantonio Zanettin ( FI) e Ignazio Zullo ( FdI); dall’altra l’ordinanza del tribunale di Firenze sul caso di “Libera”. Una vicenda su cui si arrovellano contemporaneamente la politica e la giustizia perché apre un nuovo capitolo sul fine vita, sia dal punto di vista normativo che tecnologico. È proprio la tecnica, infatti, a poter offrire soluzioni tali da equiparare il suicidio assistito all’eutanasia, quando il paziente che richieda il primo si trovi nell’impossibilità di assumere autonomamente il farmaco letale. Ma esiste, al momento, un dispositivo medico capace di garantire l’autosomministrazione a chi non può muoversi? Il giudice di Firenze ha ragione di crederlo e, accogliendo le richieste di Libera, ha ordinato all’Azienda USL Toscana Nord Ovest di fornirglielo entro 15 giorni, verificandone la funzionalità e la compatibilità. Nelle stesse ore, nelle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali di Palazzo Madama, è arrivato invece l’alt dell’Istituto superiore di sanità, con l’audizione di Alessandro Palombo, direttore del centro nazionale di IA e robotica dell’ISS.

Secondo il quale «ad oggi non è possibile certificare» un “dispositivo medico” il cui uso «preveda espressamente l’inserimento in una procedura di suicidio assistito» per chi è non è autonomo. Come “Libera”, appunto, che è paralizzata dal collo in giù. La 55enne toscana convive da quasi vent’anni con la sclerosi multipla e ha già ottenuto il via libera della sua Asl, perché soddisfa i quattro requisiti di accesso stabiliti dalla Corte costituzionale con la sentenza 242 sul caso “Cappato Dj/ Fabo”.

Nell’impossibilità di assumere autonomamente il farmaco, lo scorso marzo la donna ha presentato un ricorso d’urgenza al tribunale di Firenze per autorizzare l’intervento di un terzo, il suo medico. Che rischierebbe fino a 15 anni di carcere secondo l’articolo 579 del codice penale, che parla di “omicidio del consenziente”. Ovvero, di eutanasia. Il giudice ha quindi rinviato gli atti alla Consulta, che lo scorso luglio ha chiesto di verificare in maniera più approfondita la disponibilità sul mercato di un dispositivo adeguato allo scopo. Mistero della Salute, Iss e Consiglio superiore di sanità hanno cercato e risposto: il dispositivo non c’è. E l’Associazione Luca Coscioni, che sostiene Libera nella sua battaglia legale, non ha escluso la possibilità di procedere con una disobbedienza civile. Fino al colpo di scena, giunto con l’ordinanza di ieri: il 14 ottobre – spiega il giudice Estar (l’Ente di supporto tecnico- amministrativo regionale) ha comunicato di aver concluso un’indagine di mercato tra imprese operanti nel settore degli ausili tecnici per persone con disabilità. E da tale indagine è emersa la disponibilità di una ditta a fornire un comunicatore con puntamento oculare in grado di attivare pompe infusionali.

Un tipo di strumento di cui ha parlato anche Palombo, per il quale però è impossibile al momento stimare i tempi di sviluppo e di realizzazione di un dispositivo che funzioni e che sia compatibile con il nostro quadro normativo. Sia perché ogni strumento andrebbe personalizzato e “testato” in base alle esigenze del paziente, sia perché non è chiaro chi dovrebbe assumersi la responsabilità di realizzare uno strumento «che dà la morte».

Tutte obiezioni di cui sembra consapevole anche il giudice, che però affronta la questione considerando la sua urgenza, ovvero la sofferenza di Libera. «Le questioni interpretative sollevate – si legge nell’ordinanza – si collocano in un quadro normativo relativo ai dispositivi medici costruito per finalità diverse e in assenza di una legge nazionale che, nonostante i moniti della Corte Costituzionale, disciplini compiutamente la materia. Il giudice e prima ancora l’amministrazione sono tenuti, in ogni caso, a dare concreta attuazione ai principi affermati dalla Corte costituzionale non potendo i vuoti di disciplina risolversi nella non effettività di diritti fondamentali riconosciuti».

Dunque, verificata l’esistenza di dispositivi combinabili tra loro, «ancorché non sia disponibile sul mercato una pompa infusionale già così congegnata, il principio di effettività, di proporzionalità e necessità giustificano il dovere dell’Azienda sanitaria di fornire tali macchinari, trattandosi della soluzione che – nel bilanciamento dei contrapposti valori in gioco – meglio assicura il diritto all’autodeterminazione del paziente senza richiedere la cooperazione di un soggetto terzo».