Il primo tempo è vinto: con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, il Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma costituzionale della separazione delle carriere. Ora, o meglio la prossima primavera, la parola passerà ai cittadini che si esprimeranno al referendum.

«Compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini. Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani», ha commentato la premier Giorgia Meloni. Una vittoria dedicata a Berlusconi, quella di oggi? «No, è una vittoria dedicata alla democrazia», ha risposto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a margine del voto, facendo storcere il naso a qualche azzurro.

«No ai pieni poteri» invece è stato scritto sui cartelloni innalzati dalle opposizioni a fine voto. Nessuna bagarre stavolta in Aula, come accaduto al Senato. Qualche interruzione fisiologica da parte sia dei banchi delle opposizioni che di quelli della maggioranza. Tutto si è consumato in un paio d’ore. Poi fuori a festeggiare in piazza ma divisi. La mattinata si è aperta a Palazzo Madama alle 10:30 con le dichiarazioni di voto.

Ha iniziato il leader di Iv Matteo Renzi: «Nel confermare il nostro voto di astensione, ribadiamo che noi siamo favorevoli da sempre alla separazione delle carriere, una cosa giusta e un principio sacrosanto. Oggi ci asteniamo considerando che la montagna ha partorito il topolino, una riformicchia». Poi Mariastella Gelmini (Noi Moderati): «se c’è perdita di fiducia nella magistratura è colpa delle correnti». Per il partito main sponsor della riforma, ossia Forza Italia, ha parlato Pierantonio Zanettin: «Questo è un giorno storico e lo vogliamo dedicare a Silvio Berlusconi, che per primo 30 anni fa volle la separazione delle carriere nel programma del centrodestra e che si è battuto per anni contro le ingiustizie della giustizia. Ma lo dedichiamo anche ad Enzo Tortora e alle migliaia di vittime di errori giudiziari».

La maggioranza grida poi contro i banchi del M5S quando a prendere la parola è stato Roberto Scarpinato: «In Italia esiste una larga maggioranza di italiani di destra, di centro e di sinistra che non se la bevono la panzana che Berlusconi, Dell’Utri, Cosentino, Matacena, Previti, e Galan erano tutti fiori di giglio e sono stati condannati dalla magistratura politicizzata». Sconcerto anche sui volti di alcuni senatori del Pd. Più sobrio l’intervento del dem Andrea Giorgis: «Non vi sono precedenti di riforme costituzionali proposte dal Governo e approvate senza alcuna modifica, con tempi contingentati e forzature procedurali come quelle che sono state fatte».

Per la Lega è stato Manfredi Potenti a sottolineare come «diciamo sì a una riforma che rappresenta una rivoluzione necessaria per far riacquisire agli italiani la fiducia nel sistema giustizia». A chiudere la discussione il presidente dei senatori di Fratelli d'Italia, Lucio Malan: «In questi giorni di dibattito abbiamo assistito alle critiche infondate dell'opposizione, la quale ha parlato di pericolo per la nostra democrazia quando la separazione delle carriere esiste in nazioni democratiche quali gli Usa, il Regno Unito, l'Olanda, il Portogallo l'Australia, la Francia, la Svizzera e molte altre».

Non sono andati, invece, entrambi alla maggioranza i due voti di Azione: il leader Carlo Calenda ha votato a favore, Marco Lombardo si è astenuto. Alle 12:15 il Sì definitivo: applausi dal centro destra e cori di “vergogna” dal centro sinistra che espone i cartelloni.

Subito dopo il Guardasigilli ha incontrato i giornalisti: «Ringrazio il Parlamento. La maggioranza è stata ottima. Sono trent'anni che scrivo sulla separazione delle carriere. Mi auguro ora che sul referendum ci siano termini pacati, che non sia politicizzato». E infine: «è bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche ma per l'amor del cielo non si aggreghi a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo. Questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura».

Nel frattempo le forze di maggioranza, tranne la Lega, hanno organizzato dei flash mob fuori dal Senato. Ma separati e nessuno ha voluto spiegare il perché di questa decisione, quando due sere fa si era quasi raggiunto un accordo per stare tutti insieme. Alla fine questa scelta ha depotenziato i festeggiamenti. Ciononostante una gigantografia di Silvio Berlusconi e attorno le bandiere di Forza Italia si alzavano in piazza Navona a Roma dove si sono ritrovati giovani azzurri e parlamentari. Tra loro, anche diverse vittime di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari come Antonio Lattanzi, ex assessore comunale ai Lavori pubblici in Abruzzo, arrestato 4 volte nel 2002 per tentata concussione e abuso d'ufficio.

Per il deputato Enrico Costa «hanno rappresentato le migliaia di persone arrestate e solo dopo anni assolte e risarcite dallo Stato. Tra il 2017 e il 2024 in Italia ci sono state 5933 vittime di ingiuste detenzioni risarcite dallo Stato. Sono stati pagati dallo Stato 254,5 milioni di euro. Le azioni disciplinari avviate verso i magistrati responsabili sono state 89, con il seguente esito. 44 non doversi procedere; 28 assoluzioni; 8 censura; 1 trasferimento; 8 ancora in corso. Questi numeri sono l'effetto del lavoro di protezione operato dalle correnti del Csm, e sono le ragioni che rendono necessaria l'Alta Corte disciplinare». Per Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di FI, «questa è una tappa storica e l'attuazione del programma del centrodestra», aggiungendo che ora «inviteremo gli elettori al referendum per confermare l'impegno che ci siamo presi con loro sulla giustizia». Per il suo omologo alla Camera, Paolo Barelli: «Oggi è un momento molto importante per FI perché da sempre, con il presidente Berlusconi, ha messo al centro dell'attività politica del partito, la necessità di riformare la giustizia».

Non sono ovviamente mancati i commenti delle altre forze schierate in campo in questa battaglia, Anm e Unione Camere Penali. Per il sindacato delle toghe «questa riforma altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge» mentre per i penalisti guidati da Francesco Petrelli «non è un atto contro qualcuno, ma un passo avanti verso uno Stato di diritto più equilibrato, nel quale ciascun potere eserciti la propria funzione nel rispetto delle garanzie e delle libertà individuali e costituzionali».