Perdonerete ma da quel vecchio montanaro piemontese cocciuto che sono continuo ad importunarVi per esprimere la mia opinione di avvocato contrario alla separazione delle carriere.

Prendo spunto dalla posizione espressa dall’Onorevole Gori sull’edizione del 28.10.2025 e da quanto esposto dall’avv. Fanfani sul quotidiano del 25 ottobre, inizialmente dubbioso sulla opportunità di una legge come quella di prossima approvazione ma poi pentito dopo avere letto una sentenza sulla valenza probatoria della consulenza del Pubblico Ministero, ritenuta dalla Corte di Cassazione superiore a quella della difesa.

In primis, condivido parola per parola i dubbi e le considerazioni espresse con efficace sintesi dall’On. Gori, da liberale quale ritengo di essere dagli anni del ‘68 (e questa "svela" la mia età non proprio giovanile, senza però che l'entusiasmo per la professione che svolgo oramai da più di 45 anni sia mai venuta meno). La "freddezza" dell'avv. Fanfani sulla "separazione" di cui stiamo parlando, sia detto con molta simpatia, mi pare però di fragile complessione, se è bastata la lettura di un provvedimento giurisdizionale che peraltro esplicita, forse senza troppa diplomazia, un sentire per qualche verso giustificato, a comprometterla.

Non penso che le carriere separate ed impermeabili possano fare sì che la credibilità della parte "pubblica" tra quelle processuali sia per magia equiparata ex lege a quella privata, anche ove magistrati e PM utilizzassero ingressi diversificati per accedere al Loro rispettivo ruolo. L'avvocato impersona il diritto di difesa, con connotazione "privatistica" rilevante (anche se non esclusiva) ed il lavoro finalizzato a fare in modo che il dovere di verità previsto dall'art. 50 del Codice Deontologico Forense del 2014 entri in modo più radicato nell'animo dei difensori non mi pare del tutto compiuto.

Reputo peraltro comprensibile anche se non del tutto giustificabile un orientamento della magistratura giudicante come quello espresso nella sentenza menzionata dall'avv. Fanfani, che potrà essere contrastato solo dalla credibilità e correttezza con cui i difensori anche in ottemperanza alle prescrizioni del Codice Deontologico, dovranno costantemente agire. La legge professionale del 2012, con l'istituzione dei Consigli Distrettuali di Disciplina va in quella direzione ma, anche in ragione del numero degli iscritti agli Albi, dal mio osservatorio attuale di consigliere di disciplina, mi capita di verificare non sporadicamente che vi è ancora molto lavoro da fare. E sappiamo che l'attività quotidiana corretta di decine di migliaia di avvocati può essere facilmente messa in crisi dall'operato di alcuni, cui viene inevitabilmente attribuita una visibilità mediatica rilevante.

L'articolazione di un CSM unico in due Sezioni, il potenziamento della responsabilità disciplinare, sulla quale in passato sono emersi dati statistici sconfortanti, la presenza a pieno titolo degli avvocati nei Consigli Giudiziari sono tutti elementi, dal mio punto di vista di vecchio ordinista, di certo rilevanti e da discutere senza posizioni preconcette, che mi pare invece affliggano la riforma in itinere, che alcuni interpretano inopportunamente come la "rivalsa" di politici del recente passato.

Le esistenti forme di "democratura" un tempo impensabili ed in oggi invece purtroppo di lampante attualità, impongono a mio parere di rifuggire da quelle riforme che, anche soltanto potenzialmente, incrinino l'indipendenza della Magistratura nel suo complesso, senza peraltro incidere, come tutti riconoscono, sull'efficienza della Giustizia.

La replica del direttore

Caro avvocato, grazie per la sua lettera, La sua è una voce rara: non gridata, non faziosa, ma appassionata e civile. È il tono che servirebbe al dibattito pubblico. Come sa bene, Il Dubbio ha preso posizione a favore della separazione delle carriere e del sorteggio dei membri del Csm. Lo abbiamo fatto nel nostro stile, senza smettere di dialogare con chi, come lei, coltiva un’altra idea della giustizia. Perché di giustizia si può parlare solo se si conserva l’abitudine al dubbio. Insomma, ne abbiamo parlato e ne parleremo ancora. Mi lasci dire, però, che l’indipendenza della magistratura oggi è minacciata non da un legislatore “revanscista”, ma da un sistema di potere sclerotizzato ed endogeno, da quelle correnti che si sono fatte partito, ufficio stampa, agenzia di collocamento. È lì, nel ventre di Palazzo Bachelet, che si è consumato lo scandalo del “Sistema Palamara”, che ha gettato ombre lunghe sulla credibilità dei giudici. Ed è solo a partire da questa riforma che la magistratura potrà sperare di recuperare credibilità e vera indipendenza.

Cordialmente,

Davide Varì