Il procuratore di Brescia, Francesco Prete, interviene sul caso del pm del suo ufficio che, secondo quanto riferito dal Giornale di Brescia, ha chiesto l’archiviazione per un cittadino bengalese accusato di maltrattamenti dall’ex moglie, perché si tratterebbe di un reato

“culturalmente orientato”.

“Questa Procura della Repubblica ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza morale e materiale di chiunque a prescindere da qualsiasi riferimento ‘culturale' nei confronti delle donne”, scrive il procuratore. “In merito agli articoli di stampa relativi alle conclusioni rassegnate dal pm nel processo a carico di Hasan Md Imrul faccio presente che queste, in base alle norme del codice di procedura penale, non possono essere attribuite all'ufficio nella sua interezza, ma solo al magistrato che svolge funzioni di udienza”, precisa il procuratore. Il riferimento legislativo è “all'articolo 53 del codice di procedura penale ('nell'udienza il magistrato del pubblico ministero esercita le sua funzioni con piena autonomia') e all'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario”. Prete scrive quindi che “le richieste di ispezioni ministeriali” chieste da diversi esponenti politici “ci lasciano assolutamente tranquilli, essendo tutti i magistrati dell'ufficio sicuri di avere sempre agito nel rispetto della legalità, secondo i parametri fornitici dalla Costituzione e dalla legge”.

Il caso

Il caso riguarda una 27enne italiana di origine bengalese che nel 2019 ha denunciato il marito per maltrattamenti. La procura di Brescia prima ha proposto l'archiviazione e poi - dopo che il gip ha ordinato l'imputazione coatta - l'assoluzione dell'uomo, perché - scrive il pm nelle conclusioni depositate dalle parti - “i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”. “La cultura di origine non può essere una scusa. Sono stata trattata da schiava”, ha affermato sempre a Il Giornale di Brescia la donna. Il processo arriverà a sentenza ad ottobre.