Un provvedimento che “stride” con la giurisprudenza del tribunale di Brescia, peraltro diffuso dagli organi d’informazione prima ancora che sia avvenuta la discussione (prevista per il mese prossimo), è stata commentata da alcuni avvocati bresciani dopo aver appreso dai media cittadini che la locale Procura si appresta a chiedere l’archiviazione per un cittadino del Bangladesh, accusato di aver maltrattato la moglie.

La donna di 27 anni di origini bengalesi e cittadina italiana, madre di due figlie, sposatasi in patria secondo un matrimonio combinato, aveva denunciato il marito, nel frattempo diventato ex, per maltrattamenti fisici e psicologici. Costretta a lasciare gli studi e a restare chiusa in casa, come racconta il Giornale di Brescia, la donna aveva trovato il coraggio di denunciare dopo anni di “urla e botte”, passati sotto la “costante minaccia di essere riportata in Bangladesh”. 
La Procura aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, negata invece dal gip che aveva ordinato l’imputazione coatta, dal momento che «sussistono senz’altro elementi idonei a sostenere efficacemente l’accusa in giudizio nei confronti dell’ex marito».
«I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine», ha invece puntualizzato la Procura bresciana, diretta da Francesco Prete, secondo cui i maltrattamenti rientrerebbero nel campo dei reati “culturalmente orientati”: condotte sanzionate dall’ordinamento ma tollerate dalle leggi o dalle tradizioni del Paese di provenienza.
«Le condotte dell’uomo sono maturate in un contesto culturale che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa si è rivelato per costei intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l’ha condotta ad interrompere il matrimonio. Per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali, rifiutando il modo di vivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece, l’imputato si è fatto fieramente latore», ha quindi aggiunto la Procura, insistendo nell’archiviazione.
Una interpretazione che, come detto, “stride” con la giurisprudenza del tribunale di Brescia, il quale in una recente sentenza aveva condannato un egiziano violento nei confronti della figlia femmina. «I soggetti provenienti da uno Stato estero - scrisse il presidente Roberto Spanò - devono verificare la liceità dei propri comportamenti e la compatibilità con la legge che regola l’ordinamento italiano. L’unitarietà di quest’ultimo non consente, pur all’interno di una società multietnica quale quella attuale, la parcellizzazione in singole nicchie, impermeabili tra loro e tali da dar vita ad enclavi di impunità».
Il genitore, islamico di stretta osservanza, era stato avvisato da alcuni parenti che vivono in Egitto e che su Tik - Tok avevano visto il volto della figlia 16enne senza velo. Una volta tornata a casa la giovane era stata prima insultata e poi colpita selvaggiamente al volto. Il padre, non contento, le aveva quindi strappato anche il cellulare dalle mani lanciandoglielo addosso e minacciandola di ucciderla. Una amica aveva allora chiamato il 112 e la ragazza era stata trasferita in una struttura protetta.