«Quando si svolge un'attività delicata come quella dell'assistente sociale, la finalità non è far guadagnare altri, ma aiutare quel minore». A evidenziarlo, mercoledì in aula, è stata Rossella Ognibene, difensore, insieme ad Oliviero Mazza, di Federica Anghinolfi, principale imputata del processo sui presunti affidi illeciti.

Diversi i casi analizzati nel corso della discussione da Ognibene, a partire dal caso di A., il bambino che aveva rivelato alla madre di aver subito abusi sessuali dal genitore, poi denunciati dalla donna. Il padre di A., ha spiegato Ognibene, non aveva mantenuto costanza nell'esercizio del diritto di visita e aveva smesso, da un certo punto in poi, di pagare il mantenimento. E a domanda diretta sul perché di questa scelta, l’uomo aveva risposto di non averlo più fatto non potendo vedere i bambini e decidere per loro. Per Ognibene, si trattava di un chiaro segnale di inadeguatezza dell’uomo, che spesso litigava con la donna al telefono, liti alle quali il bambino assisteva.

A seguito della mancanza del mantenimento, la madre aveva contattato il servizio sociale di Montecchio, raccontando anche le minacce ricevute. L’uomo era stato condannato proprio per il mancato mantenimento, sentenza che in aula aveva negato, salvo poi dover ammettere, di fronte all’evidenza, il precedente.

Il servizio sociale era stato attivato solo con la denuncia della madre, quindi, ancora una volta, solo dopo che le segnalazioni di abusi erano già state fatte da altri. La madre, nella querela, aveva segnalato i racconti del bambino e proprio per questo non voleva far vedere all’uomo i figli. Dopo la querela e le udienze di ascolto davanti al Tribunale per i Minorenni, era stato emesso un primo decreto provvisorio di affido al servizio sociale - che non ebbe mai l’incarico di allontanarlo -, col compito di regolamentare gli incontri protetti, se richiesti, col padre, purché non disturbanti. Il padre aveva inoltre il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati da moglie e figli. Fu la madre del bambino a chiedere la decadenza della responsabilità genitoriale del padre.

Nonostante questa situazione, secondo la procura sarebbero stati i servizi sociali e gli psicologi a inculcare nel bambino il falso ricordo degli abusi, cosa «scientificamente impossibile, come già dimostrato», ha spiegato Ognibene. La madre aveva anche raccontato dei maltrattamenti subiti dal bambino, che veniva picchiato dal padre con un bastone quando piangeva. Elementi che smentivano le imputazioni. Il padre, comunque, si sarebbe disinteressato ai figli, non chiedendo notizie di loro nemmeno per messaggio. Già prima dell'intervento del servizio, dunque, non c'erano rapporti. Oltre a stabilire incontri protetti, il Tribunale per i Minorenni aveva anche dato indicazione di garantire sostegno psicologico al bambino.

E proprio da un’intercettazione presso i locali della Cura, in presenza della psicoterapeuta Nadia Bolognini, nel 2018, era emerso il timore della madre che il figlio potesse rivedere il padre. Tant’è che la stessa non aveva mai richiesto gli incontri protetti. E quando il Servizio, subentrato dopo gli arresti, aveva tentato di riattivarli, il padre aveva presentato un certificato medico rinunciando all’incontro.

Il bambino si trovava in condizioni di sofferenza e la psicologa Anna Ferrari riteneva che non fosse nell’interesse del minore incontrare il padre, come testimoniato da una relazione che non è stata accusata di falso ideologico. Il bambino presentava malesseri fisici e psicologici, che non rendevano idonea la programmazione di incontri col padre, il quale non aveva mai manifestato interesse a ricostruire i rapporti coi figli.

Dopo la decadenza, il padre aveva impugnato il decreto, non presentandosi però in appello. Da qui la conferma della decisione. Anche la valutazione scolastica 2017/2018 aveva confermato le condizioni di difficoltà del bambino, che si presentava anche poco curato dal punto di vista igienico.

Un’altra accusa riguarda il fatto di aver svelato al bambino che il padre si trovava in carcere: non erano stati gli operatori del Servizio a dirglielo, bensì la madre, durante un incontro con Bolognini, lo aveva rivelato davanti al bambino.

L’accusa contesta anche una tentata estorsione attraverso la richiesta di Anghinolfi di firmare il consenso per la psicoterapia con Claudio Foti (lo psicoterapeuta assolto in via definitiva). «Non c'è alcuna prova di attività volta a dare profitto a Foti», ha spiegato Ognibene. La richiesta al padre di dare un suo simbolico assenso al percorso di psicoterapia era finalizzata a comprendere se ci fosse un barlume di attenzione genitoriale nei confronti del figlio. Anche in udienza, il padre aveva risposto che non gli era mai stata formulata una tale richiesta. Da qui la decadenza dell’accusa.

Il contenuto della cartella clinica fa emergere che, una volta iscritto alla scuola superiore, il bambino non aveva più avuto una certificazione 104, ma solo un disturbo specifico dell’apprendimento.

Altro tema quello della retta affido intestata a una cuoca volontaria, presso il progetto App, Monica Iemmi, per pagare la psicoterapia del minore. Ognibene ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste: l’attività di Iemmi risaliva al 2017, come affidataria di piccolo gruppo nell'App, prima del caso relativo a questo minore. La sua era un’attività di adulta accogliente per la preparazione dei pasti e l’accoglienza dei ragazzi.

Dal 2017 al 2018 aveva avuto in affido tre minori come adulta accogliente e non era mai stata assunta come cuoca. La figura dell'adulto accogliente si definiva "affidataria di piccolo gruppo", come previsto da una delibera di giunta. Il suo ruolo era quindi previsto istituzionalmente. La quota affido era calcolata sulla base del numero dei bambini in affido, che potevano essere al massimo quattro. Quando un minore affidato necessitava di psicoterapia, in quota affido rientrava anche il costo della stessa, insieme ad altri eventuali bisogni particolari del bambino. Iemmi, dichiarata indagabile, si era sottratta al controesame: quanto da lei detto non è quindi utilizzabile.

Le testimonianze parlano di una figura definita “adulto accogliente”, che partecipava alle attività quotidiane coinvolgendo i minori, come cucinare insieme torte di compleanno: tutto documentato anche nelle slide del centro. Non si trattava, dunque, di un affido “finto”, ma progettuale.

In udienza, Antonella Tesauri, assistente sociale ascoltata come teste, ha confermato che vi erano stati mancati pagamenti delle sedute di psicoterapia da parte della madre di A., nonostante la stessa ricevesse un contributo per la povertà, finalizzato anche a coprire tali costi. Questo aveva compromesso il rapporto di fiducia tra i servizi sociali e la madre. E il Servizio, per questo, non poteva più erogare il contributo.

Per questa ragione si era proceduto, a partire dal 2018, a far transitare il pagamento della psicoterapia tramite la figura dell’adulto accogliente, già presente nel progetto educativo personalizzato (Pei) dell’epoca. Da quel momento in poi, il costo della psicoterapia era stato ricompreso come integrazione nella quota affido.

Altro caso quello di N. G., il bambino che aveva raccontato a scuola di presunti abusi da parte del fratellastro e del patrigno. Il 5 marzo scorso, il pubblico ministero aveva introdotto una modifica al capo d’imputazione relativo alla frode processuale, ipotizzando un concorso morale e materiale tra Federica Anghinolfi, Francesco Monopoli e Sara Gibertini. Secondo l’accusa, i tre avrebbero costretto la madre del bambino a rivelare al figlio che il compagno non era il padre biologico, così da sollecitare in lui un racconto di presunti abusi. Tuttavia, questa tematica non era stata trattata "immediatamente", come precedentemente indicato, bensì circa un anno dopo rispetto agli eventi in questione.

È sulla base di una segnalazione della scuola, nella quale venivano descritti comportamenti sessualizzati ripetuti da parte del minore e assenza di miglioramenti, che partiva la segnalazione del servizio sociale, successivamente valutata dalla procura minorile, la quale aveva fatto ricorso al Tribunale per i Minorenni, da cui era derivato un decreto che assegnava precisi compiti al servizio sociale.

La relazione di Francesca Tirelli, psicologa Asl che aveva seguito N., era stata inviata al Tribunale per i Minorenni insieme alla relazione dell’assistente sociale Gibertini, la quale non è accusata di falso. Questo aspetto è rilevante anche in relazione all’accusa di lesioni dolose. Nella relazione di Gibertini veniva riportato quanto riferito dai genitori in merito ai rapporti tra N. e il fratellastro. Tali contenuti non coincidevano con le dichiarazioni rese successivamente dagli stessi genitori in udienza.

Il fatto che il fratellastro fosse accolto in casa e dormisse nella stessa stanza di N. dimostrava, secondo Ognibene, come i genitori non avessero rispettato le disposizioni del Tribunale per i Minorenni. Infine, la minimizzazione del problema da parte dei genitori era un dato effettivamente rilevato e riportato nelle valutazioni del servizio e della scuola.

La pm contesta l’omissione, da parte del servizio, delle crisi di pianto di N. dopo l’allontanamento. Tuttavia, tale sofferenza veniva menzionata sia nella relazione, sia nel colloquio telefonico tra Gibertini e il giudice onorario. L'agitazione di N. durante gli incontri protetti con la madre era attestata da più fonti, incluse operatori e affidataria. Inoltre, una chat del 10 luglio 2017 tra Gibertini e Nadia Bolognini documentava che l’affidataria aveva riferito il desiderio del minore di non vedere la madre. Nella stessa conversazione si discuteva della necessità di valutare il bene del bambino, coerentemente con il mandato del Tribunale per i Minorenni. La sospensione degli incontri con la madre derivava dunque da una valutazione clinica dell’équipe e non da un atto punitivo o arbitrario. Dopo l’affido, il minore mostrò progressi clinici e scolastici. Non esistono, agli atti, prove che l’interruzione dei rapporti con la madre abbia generato traumi e d’altronde, «dopo il luglio 2018, non ci sono documentazioni che attestino la volontà del bambino di incontrare la madre o i fratelli».

Altro caso, quello dei minori O.: la decisione di allontanarli era stata presa sulla base del referto ospedaliero, che riportava un’ipotesi di abuso sessuale. La visita domiciliare era stata effettuata nel pomeriggio del 28 aprile 2015 da Anghinolfi e da un maresciallo dei carabinieri. Nel verbale del servizio si riportava la presenza di muffa, materasso a terra, condizioni igieniche carenti. La muffa, come dato documentale, era presente anche nelle due abitazioni precedenti. Un dato che nella prima abitazione fu la certificazione da un funzionario dell'ufficio di igiene pubblica di Ausl, che secondo il signor O. - come disse in udienza - avrebbe certificato il falso. Il maresciallo della stazione di Montecchio Emilia che fece il sopralluogo insieme ad Anghinolfi nel mini appartamento insieme alla proprietaria, nell’informativa allegò una relazione nella quale era presente anche la descrizione dell'abitazione, inclusa la muffa, che non è stata contestata.

Ognibene ha infine evidenziato che numerosi documenti non erano stati depositati dalla pm, violando il diritto alla difesa, chiedendo quindi l’eccezione di nullità per omesso deposito.

Per quanto riguarda la chiusura del procedimento penale a carico del padre, ciò — ha spiegato Ognibene — non implicava automaticamente l’adeguatezza genitoriale, come chiarito anche dalle linee guida regionali.