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L'avvocata Rossella Ognibene
L’accusa di falso in atto pubblico è «infondata» in quanto mancano del tutto i presupposti giuridici previsti dalla fattispecie penale e, di conseguenza, la condotta incriminabile. A sottolinearlo è stata Rossella Ognibene, difensore, insieme a Oliviero Mazza, di Federica Anghinolfi, ex responsabile del Servizio sociale in Val d’Enza, principale imputata nel processo “Angeli e Demoni”.
Ognibene, nell’udienza del 16 maggio, ha ricordato che l’articolo 479 c.p. sanziona il pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesti falsamente nei propri atti un fatto compiuto personalmente, un fatto avvenuto alla sua presenza, una dichiarazione ricevuta oppure ometta o alteri una dichiarazione effettivamente resa. Tali condizioni, però, non ricorrerebbero nei casi a processo. Le condotte contestate non attengono ad attestazioni di fatti nel senso tecnico-giuridico richiesto dalla norma, bensì sono contestate valutazioni, omissioni interpretative o formulazioni soggettive. E proprio per questo non sono penalmente rilevanti.
Le omissioni contestate
La pm Valentina Salvi - che per Anghinolfi ha invocato 15 anni di carcere - ha infatti contestato omissioni che non si riferiscono a dichiarazioni ricevute, bensì omissioni di convincimenti personali o di sospetti, omissioni di fatti non direttamente percepiti, mancata formulazione di ipotesi alternative, mancate spiegazioni delle motivazioni alla base di certe scelte, omissioni nel riferire eventuali ingerenze, attribuzioni di significato o formulazioni valutative, frasi ritenute suggestive o interpretative, rappresentazioni di stati emotivi o descrizioni della personalità, valutazioni professionali di tipo psico-sociale e addirittura l’uso di espressioni che “lascerebbero intendere” qualcosa.
La funzione dell’assistente sociale
«Nessuno di questi elementi configura un falso ideologico - ha evidenziato Ognibene -, perché non si tratta di attestazioni di fatti, ma di attività valutativa, rientrante pienamente nelle funzioni proprie dell’assistente sociale». Un concetto spiegato chiaramente dalla dottoressa Frigieri, figura storica nel settore dei servizi sociali ed ex responsabile del servizio minori di Sassuolo, consulente della difesa della dottoressa Federica Alfieri, psicologa Asl: secondo la sua ricostruzione, le relazioni redatte dagli assistenti sociali non hanno natura attestativa, ma sono valutazioni professionali.
«La valutazione – ha detto – si fa nel momento in cui si raccolgono e si analizzano le informazioni». In altri termini, l’assistente sociale non compila un verbale e non enumera fatti nel senso formale: raccoglie dati, li interpreta secondo le proprie competenze professionali e li inserisce in una relazione che è, giuridicamente, una valutazione tecnico-professionale. Una qualifica che trova esplicito fondamento normativo nell’articolo 1, comma 4, della legge istitutiva della professione dell’assistente sociale, che riconosce questa funzione valutativa come propria e tipica della figura. Proprio per tali ragioni, le relazioni oggetto di contestazione non possono mai costituire falsi ideologici, poiché non si tratta di attestazioni di verità su fatti, ma di valutazioni professionali espresse nell’ambito delle proprie competenze.
Il caso del capo 32
Per alcuni capi d’imputazione la pm ha chiesto l’assoluzione di Anghinolfi, come nel caso del capo 32 un bambino di genitori di nazionalità albanese, assoluzione per non aver commesso il fatto. L’accusa riguardava una relazione del luglio 2018, finalizzata, secondo la procura, a strappare il figlio ai genitori senza valido motivo. Ma si tratta, ha sottolineato Ognibene, di una lettura che si scontra con evidenze già esistenti in questo dibattimento e provate documentalmente, ad esempio dalla messaggistica contenuta nei cellulari. A marzo 2018, infatti, Anghinolfi avvisava i colleghi che non vi erano più le risorse di bilancio per far fronte a richieste di collocamento eterofamiliare. Il che vuol dire, ha sottolineato Ognibene, che «non vi è alcuna ragione da parte di nessuno di compiere falsificazione nelle relazioni per ottenere esattamente collocazioni eterofamiliari».
Le sit e le dichiarazioni di Muraca
Ognibene ha contestato l’assenza di alcune sit, già evidenziata con una memoria in udienza preliminare di ottobre 2020 e ancora con memoria del dicembre 2022, quando si chiedeva una declaratoria di nullità dell’avviso di conclusione indagini, SIT che la pm «ha continuato a non produrre in questo dibattimento, nonostante fossero sommarie informazioni che sono state ritenute rilevanti per escludere le ipotesi di falso, perché tali informazioni confermavano, con riscontri oggettivi, le relazioni degli assistenti sociali».
Così come è emerso, dalle testimonianze, che nessuno chiese mai all’assistente sociale Valentina Muraca «di scrivere fasi», né che fosse stata minacciata per farlo, come da lei stessa confermato in aula. «Non è dato sapere, in punto di fatto e in punto di diritto», poi, «per quale motivo la dottoressa Anghinolfi debba rispondere di contenuti ritenuti falsi quando di tali contenuti la dottoressa Anghinolfi nulla conosceva, non aveva mai partecipato alla raccolta di informazioni», contenuti dei quali l’ex responsabile dei Servizi era venuta a conoscenza tramite una mail che non è mai stata accusata di falso e inviata da Muraca proprio ad Anghinolfi.
Il caso della minore M.
Ognibene ha parlato a lungo della storia di M., la ragazzina di 13 anni che aveva avuto rapporti con un parente convivente di 27enne, secondo la pm una «relazione consensuale», riconoscendo tuttavia che l’età del consenso sia 14 anni. Il Tribunale dei minori ratificò l’allontanamento d’urgenza dovuto al fatto che vi erano diverse fonti che confermavano il sospetto che l’adulto fosse rientrato presso l’abitazione della bambina. Il Tribunale per i Minorenni ratificò detto provvedimento di allontanamento e lo ritenne legittimo anche quando fu adottato il decreto definitivo nel giugno 2020, oltre due anni dopo. La legittimità di tale allontanamento venne valutata sulla base di una situazione di «grave pregiudizio per la minore», per l’agire «poco protettivo dei genitori», come si legge nelle motivazioni del decreto definitivo del 25 giugno 2020 - dunque dopo il blitz Angeli e Demoni - che il Tribunale adottò a chiusura del procedimento relativo alla minore.
«Di questo decreto definitivo io non ho trovato da parte del pubblico ministero alcuna trattazione nella sua requisitoria - ha evidenziato Ognibene -. Eppure era un decreto adottato dopo due anni di istruttoria, sentendo genitori e anche i nuovi servizi sociali, l'Unione e anche educatore sociale della minore».
Anghinolfi è sotto processo anche per aver connotato negativamente le figure genitoriali di questa minore. «Connotare non significa attestare nulla - ha evidenziato Ognibene -, è valutazione». Anche perché ci sono elementi che testimoniano la consapevolezza dei genitori di M. dei rapporti tra la figlia e il parente, soggetto tossicodipendente e all’epoca dei fatti assuntore di eroina da quasi dieci anni. L'imputazione, in ogni caso, non si concilia con i contenuti effettivi delle relazioni, perché le frasi delle relazioni sono diverse da quanto viene contestato nell'imputazione. In ogni caso, fu la stessa minore a confermare alla pm che il parente con il quale aveva una “relazione” fumava eroina e che la notizia fosse nota ai genitori. E che la loro condotta non fosse tutelante è scritto anche nel decreto definitivo del Tribunale dei minorenni.
La presunta truffa alla fondazione
«Una delle più insistenti affermazioni che la pubblica accusa ha mosso alla dottoressa Anghinolfi - ha evidenziato Ognibene - è stata quella della metodica recisione dei legami familiari tra il minore e le figure genitori per arrivare ad ottenere scopi illeciti. La tecnica perseguita incessantemente dalla pubblica accusa non sarebbe risultata invece posta in essere quanto alla minore M.. Il motivo per il quale la pm non ritiene che sia sussistente nel caso M. tale “incessante” recisione di legami familiari io non lo trovo in requisitoria. E questo mina alle fondamenta le tesi dell'accusa: non si comprende perché in questo caso questa incessante azione non sia avvenuta».
Nessun artificio, solo dati veritieri
Secondo l’accusa, inoltre, Anghinolfi, nella sua qualità di dirigente del servizio sociale integrato della Val d’Enza, avrebbe posto in essere una serie di condotte illecite finalizzate a tentare di truffare una fondazione alla quale erano inoltrate richieste di fondi come simbolici risarcimenti per minori vittime di abusi; i fondi sarebbero stati destinati alla psicoterapia con terapeuti privati.
L’accusa di truffa era mossa facendo rinvio al fatto che l’Asl avrebbe potuto effettuare le psicoterapie gratuitamente. Tutta l’istruttoria ha però dimostrato che all’epoca dei fatti – agosto 2016 – non erano ancora stati conclusi i primi corsi di formazione per gli psicologi Asl destinati alla cura specialistica dei minori vittime di maltrattamenti. Non esisteva, dunque, personale pubblico formato per questo tipo di intervento, e quindi nessuna cura gratuita poteva essere prestata.
Ognibene ha rimarcato il fatto che le norme spieghino chiaramente che la psicoterapia per minori vittime di traumi debba essere svolta da personale esperto, che al tempo non era ancora disponibile. La terapia indicata era dunque l’unica percorribile e il costo di 135 euro a seduta era indicato nella relazione in modo trasparente e veritiero.
In merito alla questione degli artifici e raggiri, dai quali deriva l'accusa di tentata truffa, infine, non se ne trovano tracce nella relazione: vi sono riportati soltanto «dati veritieri».