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Cedu
Uno degli aspetti discussi nel ricorso Cavallotti c/ Italia, pendente davanti alla Corte Edu riguarda l’esatta latitudine della presunzione di innocenza come declinata dall’art. 6 comma 2 della Convenzione europea dei diritti umani. In particolare, in base ai quesiti preliminari posti dalla Corte, le parti dibattono se una persona assolta nel processo penale possa essere considerata incidentalmente colpevole nel procedimento di prevenzione. Tale visione, più che su questioni attinenti al giudicato e al “ne bis in idem” (princìpi sino ad ora rifuggiti in forza della predicata autonomia tra i procedimenti), riposa sul principio di non contraddizione ordinamentale.
Un valido sostegno alle autorevoli argomentazioni spese dal parere indipendente del professor Pinto De Albuquerque – offerto alla Cedu a sostegno dei ricorsi della famiglia Cavallotti per delineare gli esatti confini della presunzione d’innocenza e della vincolatività del giudicato assolutorio nella sede della prevenzione – proviene dalla giurisprudenza di legittimità civile. La sentenza numero 3368/ 23, della terza sezione civile della Corte di Cassazione, compie un’accurata e assai persuasiva analisi della presunzione d’innocenza, collegandola non solo alla giurisprudenza della Corte Edu, ma anche a quella della Corte di Giustizia dell’Unione europea, alle Direttive Ue e ai decreti attuativi delle stesse, affermando che il diritto alla presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza della Cedu e della “Cgue”, trova applicazione “in tutti i casi in cui l’accertamento della responsabilità penale ha avuto un esito negativo e il processo penale si sia concluso con la decisione diversa dalla sentenza di condanna”.
L’Autorità giudiziaria investita di un procedimento diverso da quello penale, ma ad esso inscindibilmente legato quoad factum, successivamente alla sua conclusione nei confronti di una persona che sia stata “prosciolta sia in merito che nel rito” deve “trattare questa persona come innocente” in relazione al reato precedentemente ascritto. Principio che deve essere rispettato da ogni giudice di merito, chiamato a pronunciarsi in tutti i procedimenti “che presentino un legame qualificato con il procedimento penale, da cui derivi la necessità di esaminare l’esito dello stesso, o di apprezzare le prove in esso assunte, o di valutare la partecipazione dell’interessato agli atti e agli eventi che erano stati posti a fondamento dell’imputazione penale”.
In questi procedimenti, scrive la Corte di Cassazione, l’autorità investita del diverso giudizio vede limitati i propri poteri cognitivi, poiché ha l’obbligo di trattare la persona come “innocente agli occhi della legge” e non può emettere provvedimenti che presuppongano un giudizio di colpevolezza o che siano fondati “su un nuovo apprezzamento della responsabilità penale della persona in ordine al reato precedentemente contestatole”.
A sostegno della applicabilità del principio della presunzione di innocenza a tutti i procedimenti successivi diversi da quello penale che vedano la persona “accusata” sugli stessi fatti, la Cassazione civile invoca l’autorità delle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea, emesse sia in relazione all’articolo 48 comma 1 della Carta dei diritti fondamentali (norma corrispondente all’articolo 6 § 2 della Convenzione Edu), sia in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016 / UE/ 343 del Parlamento europeo e del Consiglio, sul rafforzamento della presunzione di innocenza.
Da tali pronunce, in particolare, emerge pacificamente che, nell’ambito dell’ordinamento europeo, viene protetto il diritto della persona a non essere presentata come colpevole nelle decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza, finché questa non sia stata legittimamente provata.
Particolarmente significativo, poi, è il richiamo alla Direttiva 2016/ 343, cui è stata data attuazione in Italia con il Decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 188, che fornisce copertura legislativa al principio appena esposto e che, secondo la Cassazione, fa diventare la presunzione di innocenza, “da garanzia destinata ad operare non soltanto sul piano processuale”, un “diritto della personalità, inteso come diritto della persona a non essere presentata come colpevole, prima che la sua responsabilità sia stata legalmente accertata”.
Il principio di diritto, che la Corte di Cassazione ha elaborato e fatto proprio, attiene dunque alla necessità di conformare l’accertamento giudiziale al rispetto del canone costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che non può essere circoscritto all’ipotesi in cui la responsabilità penale sia stata esclusa con una sentenza di proscioglimento, assoluzione o non doversi procedere, ma deve trovare applicazione in tutte le fattispecie in cui l’indagine sul reato, ritualmente condotta dal giudice penale, abbia dato esito negativo Essendo incontestabile, ormai, che il giudizio sulla pericolosità sociale, semplice o qualificata, presupponga il riscontro incidentale di condotte delittuose, la corretta interpretazione della presunzione di non colpevolezza deve allora condurre a concludere che sia impedita l’applicazione di misure di prevenzione, in tutti i casi in cui il fatto storico contestato sia già stato esaminato in un procedimento penale concluso con provvedimento diverso da una sentenza di condanna, come è purtroppo accaduto nella ormai nota vicenda Cavallotti.
L’auspicio è che a Strasburgo non siano insensibili alle motivazioni di questa sentenza, ne recepiscano le indicazioni e riparino, anche se tardivamente e in misura parziale, a un danno a persone che la giustizia ha già dichiarato innocenti e che, solo un sistema estraneo ai nostri principi costituzionali ha privato dei loro beni, senza una condanna.