La Camera penale di Reggio Emilia scende in campo in difesa degli avvocati del processo “Angeli e Demoni”, con una nota che stigmatizza il comportamento della pm nei confronti dei difensori del processo. Oggetto del comunicato la recente querelle tra l’avvocato Luca Bauccio, difensore di Nadia Bolognini, una delle psicoterapeute imputate, e la pm Valentina Salvi, che ha chiesto la trasmissione degli atti per alcune considerazioni fatte dal legale in aula. A far scaldare gli animi il certificato medico depositato dalla pm, con il quale annunciava il legittimo impedimento della teste Rita Rossi, la psicologa che ha certificato un disturbo borderline sulla paziente di Claudio Foti (assolto in via definitiva), diagnosi distrutta dai giudici d’appello, che l’hanno definita di fatto priva di copertura scientifica. Gli avvocati Nicola Canestrini - difensore dell’assistente sociale Francesco Monopoli - e Bauccio avevano chiesto al Tribunale di disporre una visita fiscale, dal momento che il certificato medico era privo di diagnosi, impedendo così al Tribunale di valutare l’effettivo impedimento. Da qui il commento di Bauccio sulla tendenza a «diagnosticare malattie senza diagnosi», affermazione a seguito della quale la pm ha chiesto la trasmissione del verbale di udienza in procura, così da poter procedere nei confronti di Bauccio per aver offeso la reputazione della teste. Parole che hanno lasciato impietriti i difensori, soprattutto perché si trattava di un eventuale reato procedibile solo a querela di parte, motivo per cui le parole della pm risuonavano come una «intimidazione». Bauccio ha dunque chiesto a sua volta la trasmissione del verbale di udienza agli organi competenti per i profili disciplinari ed alla procura per i profili penali, con l’ipotesi di violenza privata.

«In uno stato democratico e liberale l’Avvocato non è un ostacolo alla giustizia - si legge nella nota della Camera penale -, e ogni attacco alla funzione difensiva si traduce in un attacco alla stessa idea di libertà». Nella nota viene evidenziata l’eccessiva mediatizzazione della vicenda e «l’indegna strumentalizzazione operata da taluni rappresentanti politici» e, senza entrare nel merito della vicenda, l’esigenza di tutelare il diritto di difesa. «L’intervento del difensore si è esplicato durante l’esercizio del mandato difensivo, quindi nel pieno esercizio del diritto di difesa in favore della propria assistita - si legge nel comunicato -; allo stesso tempo, condivisibile o meno, purché concerna l’oggetto della causa, è legittima la critica (anche vivace, sarcastica, aspra) che il difensore intendere muovere a soggetti coinvolti nel processo, anche quelli che assumono la qualifica di testimone, se lo ritiene utile per l’esercizio della difesa; anche qualora le espressioni del difensore (e sempre a patto che attengano ai fatti di causa) avessero leso la reputazione della consulente testimone, non può certamente configurarsi il delitto di diffamazione, perché ai sensi dell’art. 598 c.p. “Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi l’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi l’Autorità anministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo” ; l’eventuale delitto di diffamazione è effettivamente perseguibile a querela di parte e non di ufficio, con ciò ritenendosi del tutto inconferente la richiesta del pm di trasmissione del verbale di udienza in procura».

Secondo i penalisti, l’atteggiamento di Salvi rappresenterebbe «un’azione in grado di compromettere, condizionare, mettere in pericolo, la libertà del difensore di esercitare - come meglio ritiene - il diritto di difesa, costituzionalmente garantito dall’art. 24». Un atteggiamento «non in linea con il ruolo di un pubblico ministero “organo di giustizia”, scevro da intenti arbitrariamente inquisitori» e che «altera quello che dovrebbe essere l’intangibile equilibrio tra accusa e difesa nell’esercizio del giusto processo». Da qui la solidarietà a Bauccio e agli altri difensori, stigmatizzando «ogni compressione del diritto di difesa e ogni interferenza impropria nell’esercizio della funzione difensiva, che deve essere garantita e protetta a salvaguardia dello Stato di Diritto». Comportamenti di questo genere, conclude la nota a firma del presidente Luigi Scarcella, «non ci impediranno di svolgere la funzione difensiva come la legge consente, non ci faranno deflettere dall’esercitare la difesa dei nostri assistiti nel modo migliore, più professionale e corretto possibile; anzi, ci imporranno di essere vieppiù migliori e saldi nei nostri diritti e nel loro esercizio».