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«Il Consiglio pur riconoscendo a Loris D'Ambrosio, come sottolineato nel corso del dibattito in plenum trascorsi umani, professionali e istituzionali di raro spessore, non può sottrarsi all'applicazione delle norme che regolano la materia sottoposta alla sua attenzione», afferma il Csm in una nota diffusa ieri in serata per spiegare le ragioni del mancato riconoscimento al magistrato, ex consigliere giuridico dell'allora presidente Giorgio Napolitano, dello status di “vittima del dovere” o “equiparato vittima del dovere”.
«Nessun ulteriore approfondimento avrebbe potuto condurre a ravvisare quelle “condizioni ambientali od operative di missione comunque implicanti l'esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il dipendente a maggiori disagi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto...” necessarie per il riconoscimento dello status richiesto», aggiunge la nota, facendo così riferimento alla richiesta che era stata avanzata dalla prima presidente della Cassazione Margherita Cassano. «D'Ambrosio nell'ultimo periodo di servizio prestato presso il Quirinale è stato esposto ad un'inaccettabile gogna mediatica rivolta di fatto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È stato il garante della stabilità delle istituzioni democratiche nel momento in cui si poneva il problema di intercettazioni telefoniche in cui era coinvolto il presidente». E nelle carte del Csm che fanno concludere per negargli il riconoscimento di vittima del dovere «è stato omesso l'esame di questa parte della storia drammatica di questo collega, di cui ciascuno di noi è debitore perché è una figura rara di rigore professionale, competenza e totale dedizione alla causa dello Stato», aveva aggiunto Cassano per motivare la propria contrarietà alla delibera che poi è stata approvata con il suo solo “no” e due astensioni.
Il Csm ha tenuto conto nella sua valutazione anche del parere di una Commissione medico-legale. Ma questa Commissione, ha obiettato Cassano, «non ha potuto valutare i fatti nella loro interezza», perché fondata su informativa della Procura generale di Roma, risalente al 2018, che ha fornito «notizie parziali e lacunose» ignorando proprio l'ultima parte dell’esperienza professionale di D'Ambrosio. Di qui l'interrogativo posto a tutti i consiglieri: «Ciascuno di noi di fronte alla propria coscienza è tranquillo che questa pratica possa essere deliberata in questo modo o noi avremmo il dovere di integrare la rappresentazione dei fatti per avere una nuova valutazione da parte della Commissione tecnica competente che possano disporre di un quadro che qui è monco e parziale?».
Nella delibera si è ripercorso l'iter che ha portato alla decisione (comprese le pronunce delle Commissioni mediche). L'istanza dei familiari di D'Ambrosio, presentata nel 2017 al ministro della Giustizia, era stata inviata al Csm nell'ottobre del 2022. Nessun ritardo, dunque, da parte dell’attuale Csm nell'occuparsi della pratica: la quarta Commissione che si è insediata lo scorso febbraio, il mese dopo aveva chiesto il parere all'Ufficio Studi e dopo averne discusso in due sedute, all’inizio del mese aveva subito presentato la sua proposta al Plenum.