Un nuovo terremoto scuote il cuore della giustizia belga. E stavolta l’epicentro è proprio lì dove nessuno se lo sarebbe aspettato: nella sede dell’ Ufficio centrale per la repressione della corruzione ( Ocrc), l’organo che dovrebbe garantire integrità e legalità. Già scosso dal fragoroso caso Qatargate, più simile a un flop che alla “Mani Pulite europea” che aspirava ad essere, il Belgio si ritrova ora a fare i conti con uno scandalo dentro lo scandalo : i vertici dell’anticorruzione sospettati di aver contribuito proprio a quelle fughe di notizie che hanno segnato (e forse contribuito a disegnare) l’intera inchiesta sulla presunta influenza del Qatar – e non solo – all’interno del Parlamento europeo.

Il 7 febbraio 2025, gli investigatori dell’ Ispettorato Generale della Polizia (Aig), accompagnati da un giudice, hanno fatto irruzione negli uffici dell’Ocrc. Nessuna indiscrezione, nessuna nota ufficiale. La notizia è rimasta sotto traccia fino a quando La Libre ha alzato il velo, pochi giorni fa, collegando il blitz alle misteriose fughe di notizie che da mesi minano la credibilità del Qatargate. Nel mirino degli inquirenti è finito in particolare il direttore dell’Ocrc, Hugues Tasiaux. Per lui è scattata una perquisizione domiciliare e in ufficio, seguita da un interrogatorio. L’accusa? Violazione del segreto professionale.

A dare il via all’indagine è stata una denuncia presentata da Marie Arena, ex eurodeputata socialista finita solo di recente nel registro degli indagati per il Qatargate - dopo un lungo periodo in cui ne è rimasta fuori - e da suo figlio Ugo Lemaire, arrestato in un’altra maxi- inchiesta su un presunto traffico internazionale di cannabis. Entrambi hanno puntato il dito contro la gestione opaca delle informazioni: la stampa, hanno denunciato, avrebbe avuto accesso a documenti riservati ancor prima degli stessi imputati. Alla loro denuncia si sono poi uniti anche l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili e suo marito Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare di Pier Antonio Panzeri, protagonisti centrali del Qatargate, in prima fila a denunciare abusi e storture, che da tempo parlano apertamente di una “regia” dietro alle sistematiche fughe di notizie e dietro l’inchiesta stessa.

Le accuse non si limitano alla violazione della riservatezza: ciò che si sospetta, infatti, è un possibile processo parallelo gestito a colpi di scoop, con i media – soprattutto belgi – che pubblicavano atti, intercettazioni e nomi spesso ancora coperti dal segreto istruttorio con un preciso fine, ancora tutto da chiarire. Tutto questo mentre gli stessi indagati – e i loro legali – erano sottoposti a divieti di comunicazione con la stampa, sotto minaccia di arresto. «Questa non è giustizia, è controllo della narrazione», ha denunciato tempo fa al Dubbio Giorgi, che ha registrato di nascosto l’investigatore capo delle indagini, Ceferino Alvarez Rodriguez, mentre ammetteva di non credere alla testimonianza del super “pentito” Panzeri e criticava apertamente il comportamento di giudici e politici. In risposta, la procura ha cercato di screditare l’audio, sostenendo che potesse essere stato creato con l’intelligenza artificiale – una tesi smentita da perizie tecniche e dallo stesso agente coinvolto, che ne ha ammesso la paternità in una denuncia contro un giornale belga.

Le violazioni denunciate non si fermano qui. Sempre Giorgi ha parlato, durante un intervento al Salone del Libro, ospite de Il Dubbio, di dichiarazioni estorte senza la presenza dell’avvocato, minacce, abusi nella custodia cautelare, parzialità dei giudici, violazioni del segreto tra avvocato e cliente, omissione di prove favorevoli. Tutte circostanze che ora sono al vaglio della Corte d’Appello, in un contesto che, a detta degli imputati, rende impossibile un processo equo.

Le tensioni all’interno dell’Ocrc non sono nuove. Già nel settembre 2024, secondo fonti giornalistiche, era scoppiato un conflitto interno legato alla gestione dei rapporti con il Marocco, altro attore chiave dell’inchiesta. Dopo la pubblicazione, da parte della rete Rtbf, di un’inchiesta sui legami ambigui tra autorità belghe e marocchine, alcuni agenti dell’Ocrc avevano redatto un verbale di denuncia. Ma l'iniziativa non era piaciuta alla direzione: il Disoc (Direzione centrale per la lotta alla criminalità organizzata) aveva imposto che ogni nuovo verbale dovesse passare al vaglio della dirigenza prima di essere trasmesso alla procura. Una sorta di censura preventiva che aveva spinto lo stesso Tasiaux – oggi sotto accusa – a sporgere denuncia per “violazioni dell’integrità” al Comitato P, l’organo di controllo sui servizi di polizia. Pochi mesi dopo, però, Tasiaux è stato rimosso, in quanto ritenuto non adeguato al ruolo che ricopriva da otto anni.

Secondo quanto riportato da La Libre, l’indagine a carico di Tasiaux non si limiterebbe alle fughe di notizie del Qatargate, ma sarebbe stata estesa anche ad altri casi. Si tratta, in sostanza, di una possibile crisi sistemica all’interno degli apparati investigativi belgi, che getta un’ombra inquietante non solo sul caso Qatargate, ma sull’intero sistema di giustizia. E mentre la verità fatica ad emergere, ciò che resta è una vicenda dai contorni torbidi, dove le domande sono sempre di più e le risposte, sempre meno.