Il caso Almasri si abbatte di nuovo su via Arenula. E questa volta con l’iscrizione sul registro degli indagati di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro Carlo Nordio, indagata per false dichiarazioni davanti al Tribunale dei Ministri. Il reato ipotizzato dalla procura di Roma, guidata da Francesco Lo Voi, è il 371 bis del codice penale e prevede una pena fino a quattro anni di reclusione.

L’annuncio arriva a ridosso dell’avvio dei lavori della Giunta per le autorizzazioni della Camera, che ha analizzato le oltre 1300 pagine di atti che compongono il fascicolo sull’autorizzazione a procedere formulata dal Tribunale dei Ministri nei confronti di Nordio, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Atti, dunque, che contengono anche la versione completa delle dichiarazioni di Bartolozzi alle tre giudici. Una versione - stando al documento depositato a inizio agosto - «da ritenere sotto diversi profili inattendibile e, anzi, mendace».

La Giunta, presieduta da Devis Dori, inviterà i ministri e al sottosegretario coinvolti a comparire o inviare una memoria. Il silenzio appare, però, scontato. E si potrebbe valutare già nella riunione di oggi alle ore 14 il coinvolgimento di Bartolozzi. Un elemento, ha sottolineato il deputato di Forza Italia Enrico Costa, «che la Giunta non potrà non tenere in considerazione ai fini delle sue conclusioni», un fatto nuovo, ha aggiunto il forzista Pietro Pittalis, che «dovrà essere oggetto di una comune riflessione», acquisendo «gli elementi utili al fine di valutare».

La questione è spinosa. Anche perché, non trattandosi di reati in concorso con i ministri, ma di un reato autonomo - commesso non durante la gestione del caso Almasri, ma durante le indagini del Tribunale dei Ministri - la soluzione di estendere lo scudo anche a Bartolozzi in quanto concorrente, ipotesi prevista dall’articolo 4 della legge costituzionale 2019/89, verrebbe meno.

L’idea alternativa, però, è che si possa trattare di reato connesso o che la difesa rivendichi una sorta di unità e di concertazione delle attività tra ministri e capo di gabinetto - in quanto reati commessi nell’ambito dello stesso disegno criminoso -, attraendo sotto la competenza della Giunta anche l’esame della posizione di Bartolozzi. Un’ipotesi avvalorata dalle dichiarazioni di solidarietà, arrivate in serata, del ministro Nordio, che ha mantenuto la linea della difesa ad oltranza, espressa già ad agosto. Bartolozzi, si legge in una nota, «ha sempre agito nella massima correttezza e lealtà, informandomi tempestivamente ed esaurientemente delle varie fasi della vicenda Almasri e di tutti gli aspetti ad essa relativi. Sulla base di questi ho fondato le mie valutazioni».

Eppure, nei documenti del Tribunale dei ministri, la sua versione è definita «intrinsecamente contraddittoria»: da un lato affermava di aggiornare Nordio «quaranta volte al giorno», dall’altro di non avergli mai sottoposto la bozza di provvedimento redatta dagli uffici che avrebbe potuto impedire la liberazione di Almasri. Per i magistrati è «insostenibile» che si sia arrogata il diritto di trattenere un atto tecnico di rilievo, venendo meno agli obblighi del suo incarico

In ogni caso, l’eventuale connessione dipenderà non tanto dalla Giunta, ma da come la procura di Roma interpreterà la posizione di Bartolozzi. A quel punto, potrebbe essere sollevato conflitto di attribuzioni o, addirittura, elaborato un provvedimento normativo, cosa che, però, scatenerebbe feroci polemiche politiche.

Non è chiaro se ci siano precedenti del genere, rispetto ai quali, ha chiarito Dori al Dubbio, gli uffici stanno facendo verifiche. Ed è proprio sulla questione connessione/concorso che, in queste ore, la Giunta starebbe ragionando. A confortare tali ipotesi anche il commento del costituzionalista Stefano Ceccanti. «La cosa strana è che non sia stata indagata già allora insieme ai ministri visto che viene descritta come facente parte di una rete - ha commentato all’Ansa -. La cosa a mio avviso dovrebbe evolvere nel senso che viene chiesta l’autorizzazione anche per lei, la sua indagine dovrebbe confluire nell’altra. Secondo me il caso dovrebbe essere integrato con la richiesta di autorizzazione».

Per Bartolozzi, però, potrebbe aprirsi anche un altro fronte. Inevitabile, dice una fonte del Csm, l’apertura di un procedimento disciplinare: per «giurisprudenza costante», infatti, l’obbligo di rispettare le regole deontologiche vale anche per i magistrati fuori ruolo, come Bartolozzi. Un atto dovuto, in presenza di atti dolosi. Il che vuol dire che il procuratore generale, a breve, potrebbe aprire un fascicolo con l’incolpazione, informando Bartolozzi e aprendo un’istruttoria sul caso. Il pg può poi archiviare o trasmettere alla commissione disciplinare.

L’opposizione, intanto, è sul piede di guerra. E a rilanciare la richiesta di dimissioni è la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani: «Chiediamo con forza un passo indietro immediato e un’assunzione di responsabilità da parte del governo. La giustizia non può essere amministrata da chi è a sua volta sotto inchiesta per fatti così gravi. E non si evochi il garantismo perché qui stiamo parlando di precondizioni essenziali per assumere e svolgere ruoli così importanti.

Abbiamo un ministro della Giustizia indagato per favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio e la sua Capo di Gabinetto, Giusi Bartolozzi, per false dichiarazioni ai magistrati. In un Paese normale - ha concluso -, chi riveste incarichi così delicati avrebbe già rassegnato le proprie dimissioni per rispetto delle istituzioni e dei cittadini».

Bartolozzi è stata vista a Palazzo Chigi dopo un passaggio al ministero, ufficialmente per incontri già programmati. Da via Arenula trapela che «il clima è sereno» e che non ci sia alcuna preoccupazione. Ma la coincidenza dei tempi e il peso politico della vicenda rendono la serenità difficile da immaginare.