«Sono onorato e felice di essere qui, al congresso nazionale forense. Provengo da una famiglia di avvocati, lo erano mio padre e mio nonno, ho fatto io stesso pratica prima di diventare magistrato».

Non è la prima volta che ne parla, Carlo Nordio. Ma il tono, il contesto, rivelano uno “slancio sentimentale” diverso dal solito. Perché alla sessione ulteriore delle assise dell’avvocatura, il ministro della Giustizia arriva direttamente da Atlanta, con tanto di fuso orario da smaltire. Lì, negli Usa, ha vissuto da protagonista la conferenza anticorruzione dell’Onu. Dal palco dell’Ergife si duole per non esser riuscito a preparare «un discorso strutturato», e dunque per l’inevitabile stile a braccio. Ma pur fra qualche prudente “vedremo” con cui congela alcune questioni (prima fra tutte la presenza dei fuori ruolo a via Arenula), il guardasigilli ribadisce un concetto, questo sì, caro alla professione forense: «Chi respinge l’ipotesi di separare le carriere dei magistrati evoca una non meglio definita cultura della giurisdizione. Ma così ci si nasconde dietro un equivoco: perché o la giurisdizione, dal latino ius dicere, compete solo al giudice, oppure, se la s’intende come esito di una dialettica, deve per forza vedere la compartecipazione non di due ma di tre componenti, anche dell’avvocatura quindi, oltre che dei magistrati giudicanti e dei pm». È la premessa ontologica per la riforma costituzionale della giustizia, che Nordio tiene ben ancorata alla necessaria «pari dignità» nel processo.

Certo, sia alle telecamere che lo braccano appena finito il discorso, sia poche ore dopo ad Atreju, lo stesso ministro confermerà quanto ormai chiaro a tutti: «La separazione delle carriere è nel programma di governo e si farà, ma successivamente: prima c’è il premierato». È senz’altro un «impegno già fissato nel programma». Il titolare della Giustizia lo rivendica dinanzi a una platea di centinaia di avvocati. D’altronde la componente più garantista della maggioranza, Forza Italia, non accetterà di vedere il divorzio giudici-pm abbandonato nel limbo delle eterne promesse.

Sul resto, Nordio è orientato a quella linea di prudenza che sembra prevalere in questa fine d’anno, tornante in cui per tradizione la giustizia finisce un po’ ai margini. Stavolta si aggiunge il clima pre-elettorale: da qui alle Europee pare chiaro che via Arenula si guarderà bene del partorire rivoluzioni.

Così, già al suo arrivo nella sconfinata hall dell’Ergife, il guardasigilli replica con un certo scetticismo a una domanda del Dubbio: gli chiediamo se la riduzione delle toghe fuori ruolo prevista nel decreto Csm resterà limitata a 20 “distacchi” sugli attuali 200, o se invece, anche alla luce della futura discussione in Parlamento, quella sforbiciata potrà allargarsi, come richiesto pochi minuti prima anche dal presidente del Cnf Francesco Greco. «Una riduzione c’è», è la risposta di Nordio, «d’altra parte non è nel minor numero dei fuori ruolo la soluzione alle carenze d’organico dei magistrati».

Di lì a poco, uno dei parlamentari meno disponibili (come riferito anche in altro servizio, ndr) a tollerare le digressioni conservative del ministro, Enrico Costa di Azione, ricorderà che la commissione di studio in cui proprio Greco aveva contestato l’irrisoria consistenza del taglio ai fuori ruolo «era composta da 18 magistrati e solo 4 avvocati. Almeno lì sarebbe stato possibile», fa notare il deputato, «assicurare parità numerica fra toghe e professione forense», considerato che la «patologia» degli incarichi extra-giudiziari «già consegna ai magistrati il monopolio nei posti di comando a via Arenula». Difficile replicare a obiezioni come quelle di Greco e Costa: e infatti Nordio non lo farà, né nelle dichiarazioni rilasciate alle telecamere né ad Atreju.

Va detto che dal fronte garantista si registrano anche altre sollecitazioni. Ad esempio da parte di una prima linea del centrodestra sulla giustizia come Pierantonio Zanettin, che è stato anche laico a Palazzo dei Marescialli due consiliature fa: «Il nodo non è la politica partitica che mal governa il Csm ma il correntismo all’interno della magistratura: ecco perché abbiamo presentato una proposta di legge sul sorteggio temperato dei togati. La loro elezione è ancora governata dalle correnti, con una pervicacia superiore a quella dei partiti nella selezione dei candidati». Il capogruppo Giustizia degli azzurri al Senato ne parla nella sessione che vede schierati i rappresentanti di tutte le forze politiche: oltre a Zanettin e Costa intervengono Carolina Varchi di FdI, Valentina D’Orso dei 5 Stelle, Pino Bicchielli di Noi moderati, il leghista Francesco Urraro, Catello Vitiello di Italia viva e Debora Serracchiani del Pd. Ed è la deputata dem a indicare un tema altrimenti desaparecido dall’agenda, «il carcere, la condizione di chi è dietro le sbarre, che non dovrebbe essere indegna di una democrazia avanzata, come purtroppo oggi avviene in Italia, e com’è tragicamente attestato dall’intollerabile numero di detenuti che si suicidano».

A riallineare la barra del congresso sulla rotta del garantismo è poi una figura chiave sulla giustizia come il viceministro Francesco Paolo Sisto. Avvocato come gran parte degli altri ospiti, il numero due di via Arenula rassicura intanto la platea degli oltre 1500 colleghi sulla questione del “penale telematico”: «Rinviato il passaggio definitivo al portale, grazie all’accordo raggiunto col Cnf e le altre rappresentanze forensi, attiveremo subito corsi di formazione per dare a tutti gli avvocati la possibilità di usare correttamente il nuovo strumento».

Poi Sisto fa proprio il discorso di Nordio sulla “effettività delle intenzioni” in materia di carriere separate («il giudice sia il vertice di un triangolo isoscele in cui avvocato e pm si collocano alla stessa distanza) e dà almeno un paio di notizie: «In tema di intercettazioni, provvederemo a riscrivere la disciplina dei colloqui tra indagato e difensore, che a mio parere non devono essere trascritti sotto la spinta di qualche eccesso di zelo...». È in preparazione anche la disciplina su «criteri e modalità di sequestro degli smartphone, che vanno considerati, come affermato dalla Consulta, contenitori di comunicazioni e non di documenti». Ed è tagliente, Sisto, sulla prescrizione: a proposito della richiesta, avanzata dai procuratori generali, di “congelare” la riforma, ricorda che «quando la legge arriva in Parlamento, deve decidere solo il Parlamento: lo dico con franchezza a coloro che, con una lettera, pensano di poter dire la loro quando un provvedimento è già al vaglio dell’aula».

Il viceministro introduce pure il tema dell’intelligenza artificiale applicata alla giustizia. Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che rivolge il saluto anche da parte di Giorgia Meloni, sceglie il “dilemma dell’algoritmo” come leit motiv del proprio intervento: serve una «ragionevole regolamentazione» dell’IA, spiega, soprattutto «rispetto a una professione come quella dell’avvocato, che non tollera la sostituzione macchina-uomo». Paragona le nuove prospettive cibernetiche alla «rivoluzione industriale» e allo sbarco sulla luna: solo che in quegli altri passaggi del progresso «l’uomo aveva comunque un dominio sulla macchina», mentre qui «disorienta la prospettiva di un capovolgimento antropologico». Mantovano è rassicurante e severo nello stesso tempo: «Ci sono procedure in cui l’ausilio degli automatismi non è scandaloso, ma nessun algoritmo può sostituire una sentenza. Chi immagina questa deriva», dice, «non ha idea di cosa siano la giustizia e la tutela dei diritti».

E che a scandirlo sia un politico-magistrato, è in fondo il segno che quella comune “cultura della giurisdizione” di cui all’inizio non è poi un’utopia.