PHOTO
VLADIMIRO ZAGREBELSKY GIUDICE
Vladimiro Zagrebelsky era l’uomo del diritto e dei diritti, come gli riconosce chiunque abbia versato una goccia nel fiume di commozione seguito alla sua scomparsa. Il suo sguardo era un po’ più ampio, un po’ meno incrostato, tale da aprire una finestra della nostra cultura giuridica verso l’Europa e il mondo. Magistrato, giurista, docente, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo dal 2001 al 2010, ha allargato il suo pensiero per riempire anche il nostro. Fino all’ultimo, quando ieri se ne è andato all’età di 85 anni nella sua casa di villeggiatura a Gressoney-La-Trinité, in Valle d’Aosta.
La Regione che aveva preso a frequentare da anni è stata la prima a ricordarlo, esprimendo il cordoglio di un’intera comunità che ne aveva conosciuto lo spessore e il rigore anche attraverso i suoi corsi universitari. Ma è a Torino che bisogna guardare per la sua formazione culturale e giuridica, con la laurea in giurisprudenza nel 1963 a cui seguì l’ingresso in magistratura due anni dopo, come giudice e pubblico ministero.
Nato nel capoluogo piemontese il 25 marzo 1940, era il fratello maggiore di Gustavo, presidente emerito della Corte costituzionale. Entrambi sono cresciuti in una famiglia di origini russe, approdata in Italia nei primi decenni del Novecento, ed entrambi hanno trovato nella Carta la bussola del proprio pensiero. Dalle aule giudiziarie, Vladimiro passò alle stanze dell’autogoverno della magistratura, eletto due volte al Csm. Fu quindi chiamato a dirigere l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia e la Direzione generale dell’organizzazione giudiziaria, contribuendo all’attuazione della riforma del codice di procedura penale.
La svolta internazionale arrivò nel 2001, quando fu eletto dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa come giudice della Cedu. Rimase alla Corte di Strasburgo per nove anni, e di quell’esperienza resta traccia anche in uno dei suoi ultimi interventi, nel corso dell’audizione in commissione Affari Costituzionali del Senato sul testo relativo al fine vita. Neanche in quell’occasione gli è sfuggita l’essenza dei principi fondamentali posti a tutela dell’individuo, come il diritto all’autodeterminazione.
Lo ricorda anche la politica, con le parole della responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani, che sottolinea il contributo del giurista al dibattito pubblico e alla cultura dei diritti. E quelle del viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, per il quale - aldilà delle idee - «perdiamo una mente alata, che ha prestato il suo ingegno all’interpretazione delle regole». Ma è dal mondo della giustizia che si leva l’omaggio più commosso, con il dolore espresso dalla magistratura e dall’avvocatura.
Alla famiglia Zagrebelsky sono giunte le condoglianze del Presidente della Corte costituzionale, Giovanni Amoroso, dell’Anm e del Consiglio nazionale forense. Il cui presidente Francesco Greco lo ricorda come «giurista di straordinaria cultura e personalità autorevole nel panorama nazionale ed europeo» che «ha dedicato la sua vita alla tutela dei diritti fondamentali e alla difesa dei principi dello Stato di diritto, divenendo un punto di riferimento nella giurisdizione e nella cultura giuridica italiana».
Una toga «fuori dal comune», sottolinea il presidente dell’Anm Cesare Parodi, che dedica a Zagrebelsky un ricordo personale. «È stato un grandissimo magistrato, straordinario. Il mio primo capo, con lui ho iniziato a fare il mio lavoro. Una persona di una cultura, di un’intelligenza e di una capacità di prevedere il futuro straordinarie - è l’omaggio di Parodi -. C’è una cosa che verrà ricordata di lui, è stato il primo in Italia a capire che non tutte le notizie di reato potevano essere trattate, e fece le prime linee programmatiche, le prime scelte nella Procura. Quello che adesso tutti fanno. Era un uomo che viveva in un’ottica di efficienza, di legalità e di trasparenza».