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CORTE DI CASSAZIONE ESTERNO ESTERNI PALAZZACCIO PALAZZO DI GIUSTIZIA
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28468/2025, ha chiarito che l’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi non può fondarsi su criteri puramente quantitativi o formali, ma richiede un’analisi puntuale della coerenza critica tra il motivo di impugnazione e la sentenza di primo grado. La decisione ribalta l’ordinanza della Corte d’appello di Bologna che aveva rigettato il ricorso di un uomo imputato per tentato furto e possesso ingiustificato di chiavi alterate.
L’imputato, secondo quanto si legge in sentenza, era stato condannato nel 2022 per aver tentato di forzare il lucchetto di una bicicletta, venendo trovato in possesso di grimaldelli. In appello, il suo difensore aveva chiesto l’assorbimento del reato contravvenzionale (articolo 707 codice penale) nel delitto tentato (articolo 624 codice penale), nonché una rivalutazione del trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale aveva però rigettato l’impugnazione per difetto di specificità.
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha ricordando che la specificità dell’appello non si misura sulla quantità di parole, ma sulla rilevanza critica rispetto ai motivi della sentenza impugnata. Inoltre, l’inammissibilità può essere dichiarata solo quando i motivi siano del tutto scollegati dalle ragioni della sentenza di primo grado. Nel caso di specie - evidenziano gli ermellini - la censura sull’assorbimento era coerente con quanto esposto in primo grado, dove non era stato chiarito se gli strumenti rinvenuti fossero stati effettivamente utilizzati. La Corte ha così disposto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Bologna per il giudizio nel merito, eccetto che per il reato minore, ormai prescritto.
Nella stessa pronuncia si fa riferimento anche alla prescrizione (norma transitoria del 2017). La Cassazione, in tal senso, ha dichiarato prescritta la contravvenzione di cui all’articolo 707 codice penale, accertata nel 2017, in virtù della sospensione limitata prevista dalla riforma Orlando (legge 103/2017). Secondo l’articolo 159, comma 3, codice penale, infatti, il decorso del termine non può essere sospeso una volta che la condanna di primo grado venga annullata per vizio non meramente formale. Tale principio è confermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sentenza Polichetti, n. 20989/2025).
Nella sentenza n. 28468/2025 viene ribadito che la sospensione opera solo se la condanna viene confermata o annullata solo per vizi formali. In caso contrario, il tempo (cosiddetto) “guadagnato” si perde retroattivamente e la prescrizione torna a decorrere con i limiti originari.
Il giudizio di legittimità, le cui motivazioni sono state depositate il 4 agosto 2025, rafforza la tutela del diritto di difesa e riequilibra i poteri di filtro del giudice d’appello, in quanto, l’impugnazione, per quanto sintetica, non può essere dichiarata inammissibile se contiene rilievi pertinenti al ragionamento giuridico della sentenza contestata. In caso contrario, fa intendere tra le righe la Suprema Corte di Cassazione, si rischia di sanzionare la povertà stilistica più che la debolezza giuridica.