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CARLO NORDIO, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
L’istanza della pm di Bibbiano contro l’abuso d’ufficio? «Inammissibile», parola di Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia ha replicato così al pubblico ministero Valentina Salvi e al procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Paci, che lunedì hanno depositato una memoria sollevando la questione di legittimità sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio, chiedendo che la stessa venga valutata dalla Corte costituzionale. Una posizione subito contestata dalle difese, che hanno citato il codice penale e la Costituzione come base per opporsi a tale richiesta. Un’interpretazione che coincide con quella del ministro, il cui nome campeggia sul frontespizio del ddl che ha cancellato l’articolo 323 del codice penale.
«Penso proprio che sarà dichiarata inammissibile», ha dichiarato il guardasigilli a margine di una conferenza stampa a via Arenula. «Da modesto costituzionalista credo che sia una bella pensata - ha sottolineato -, perché come si fa a pensare che una norma che abolisce un reato sia incostituzionale? Se paradossalmente fosse eliminata questa norma, che cosa fai? Fai rivivere un reato che è stato abolito da una norma di legge? L’incostituzionalità di una norma che abolisce un reato è una contraddizione “in adiecto”, perché anche se paradossalmente fosse accolta dalla Corte, una volta eliminato il reato non può rivivere a seguito di una sentenza della Corte costituzionale. Sarebbe una retroattività della legge penale che è inammissibile dalla stessa Costituzione».
Insomma, la stessa linea tracciata in aula dagli avvocati Giovanni Tarquini, difensore dell’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, e Oliviero Mazza, difensore, insieme a Rossella Ognibene, dell’ex responsabile del servizio sociale della Val d’Enza, Federica Anghinolfi. Carletti, in particolare, è a processo per un solo capo d’imputazione, un presunto abuso d’ufficio relativo all’affidamento del servizio di psicoterapia per i minori da parte dei Comuni della Val d’Enza alla onlus “Hansel & Gretel” di Claudio Foti, lo psicoterapeuta già assolto in abbreviato in via definitiva anche per questo reato. E sono quattro, in totale, i capi d’accusa sull’abuso d’ufficio, che ora potrebbero sparire dal processo.
Durante l’udienza di lunedì, come raccontato dal Dubbio, la pm ha sollevato dubbi su un possibile contrasto dell’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale con l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, con l’articolo 24, in quanto lascerebbe i cittadini privi di tutela di fronte alle condotte abusive dei pubblici ufficiali, e con l’articolo 117, secondo cui la potestà legislativa deve rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Il collegio si pronuncerà il 16 settembre, partendo innanzitutto dal valutare la rilevanza della questione nel “processo Bibbiano”. Rilevanza che, secondo le difese, è da escludere. Ciò, ha sottolineato Tarquini, sulla base degli articoli 2, comma 2 del codice penale, e 25, comma 2 della Costituzione.
Il primo, infatti, in ragione della successione della legge penale nel tempo, stabilisce che se un fatto non è più previsto come reato, cessa l’esecuzione ed ogni effetto penale della condanna. Il secondo, invece, stabilisce che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. «La Corte costituzionale non potrà mai adottare una sentenza di accoglimento della questione di legittimità che finirebbe per applicare retroattivamente una norma più sfavorevole, determinata dalla stessa Corte costituzionale», ha spiegato in aula Mazza. L’unico precedente di reviviscenza di una norma abrogata è la sentenza numero 5 del 2014, che ha riportato in vita la fattispecie della “associazione paramilitare”.
Ma quella sentenza non stabiliva un contrasto costituzionale in merito al contenuto della norma, ma sanciva un eccesso di delega che ha reso illegittima la cancellazione del reato. Ciononostante, la Corte di Cassazione, nel 2016, ha applicato proprio l’articolo 2, comma 2 del codice penale, “salvando” dunque gli effetti più favorevoli che nel frattempo erano scaturiti dall’abrogazione di quella norma.
Un eventuale accoglimento da parte della Consulta, dunque, introdurrebbe una retroattività sfavorevole. Cosa che, sottolineano le difese, non è possibile: la Corte costituzionale, infatti, non avrebbe questo potere, essendo la materia coperta da riserva assoluta di legge; inoltre, qualora anche accadesse, la sentenza non potrebbe avere gli effetti tipici retroattivi, perché entrerebbe in contrasto con l’articolo 25, comma 2 della stessa Costituzione.
Da qui la richiesta, da parte degli avvocati, di inammissibilità dell’istanza, in quanto la questione sarebbe irrilevante nel procedimento, nonché manifestamente infondata, in quanto la norma che abroga l’abuso non è incostituzionale. Ultima questione quella relativa all’articolo 117, sul quale Nordio ha già da tempo fornito rassicurazioni: dopo un confronto con il Consiglio Ue, infatti, si è raggiunto un compromesso con l’introduzione del peculato per distrazione. Una nuova norma che metterebbe l’Italia al riparo, almeno in linea di principio, da una ipotetica procedura d’infrazione.