La riforma Nordio sull’abuso d’ufficio arriva oggi alla Corte costituzionale, con un’udienza pubblica che potrebbe segnare un punto di svolta nella disciplina penale dei reati contro la pubblica amministrazione. In aula, il giudice relatore Giorgio Viganò illustrerà la questione di legittimità sollevata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9442/2025. Sono oltre trenta gli avvocati attesi in discussione, insieme ai rappresentanti dell’Avvocatura dello Stato.

La questione nasce da un ricorso pendente in Cassazione, in cui si chiedeva l’annullamento di una condanna fondata sull’articolo 323 del Codice penale, recentemente abrogato dalla legge 114 del 9 agosto 2024, nota come riforma Nordio. Gli ermellini, valutando il caso, hanno deciso di promuovere un incidente di costituzionalità, sollevando dubbi sull’articolo 1 della riforma in relazione a obblighi internazionali vincolanti per lo Stato italiano.

Le ragioni del rinvio alla Consulta

La Corte di Cassazione ha evidenziato un possibile contrasto con la Convenzione Onu contro la corruzione, adottata a Merida nel 2003 e ratificata dall’Italia con la legge 116/2009. In particolare, il punto critico riguarda l’articolo 19 della Convenzione, che suggerisce agli Stati di criminalizzare proprio le condotte già ricomprese nell’ex abuso d’ufficio.

L’abrogazione dell’articolo 323, secondo i giudici di legittimità, non è stata compensata da meccanismi alternativi di prevenzione, come un efficace sistema disciplinare interno alla pubblica amministrazione. Si rischia così una lacuna normativa nella lotta alla corruzione e un abbassamento del livello di tutela della legalità, in violazione degli impegni internazionali assunti.

La Cassazione osserva che, seppure la Convenzione ammetta margini di flessibilità nella definizione delle fattispecie penali, essa impone comunque agli Stati aderenti l’adozione di politiche organiche di prevenzione della corruzione, e in particolare il mantenimento di una soglia minima di tutela giuridica contro gli abusi nella gestione della cosa pubblica.

L'equilibrio del giudizio della Cassazione

I giudici supremi riconoscono che la ratio del legislatore non era irragionevole: l’obiettivo era quello di evitare la paralisi della pubblica amministrazione, dovuta alla cosiddetta “burocrazia difensiva”, fenomeno crescente che spinge i funzionari pubblici a rinunciare all’azione per timore di procedimenti giudiziari.

Tuttavia, secondo la Cassazione, il bilanciamento tra efficienza amministrativa e legalità dell’azione pubblica non può risolversi nella totale cancellazione dell’abuso d’ufficio, senza introdurre un sistema alternativo di controllo. Per questo la riforma è ora sottoposta al vaglio della Consulta, che dovrà stabilire se l’abrogazione dell’articolo 323 sia costituzionalmente compatibile con l’ordinamento interno e con gli obblighi sovranazionali.