Fuori”, di Mario Martone, unico film italiano in concorso a Cannes, è un film d’arte, ed è forse per questo che piegarlo a un giudizio critico sarebbe fuorviante. Più che alle categorie di logica e senso, infatti, la pellicola, che ha tra le interpreti principali Valeria Golino, Matilda De Angelis ed Elodie, mira a un racconto emotivo che si struttura nel tempo preciso dell’alba degli anni Ottanta del Novecento, per poi tradire quella dimensione temporale, in un continuo flashback.

Analogamente questo avviene nella narrazione dei luoghi, in un’intenzionale entropia dove la ricchezza delle immagini e degli scambi effettivi tra Goliarda Sapienza e le amiche del carcere di Rebibbia serve a rendere ancora più straniante il silenzio del mondo intellettuale verso la poetessa e scrittrice catanese. La sua diviene così una chiusura di opposizione, decisa per ribellione a un mondo vuoto, convenzionale. Che non avrebbe mai potuto pubblicare L’arte della gioia senza dissolversi.

Nel corpo nudo e scabro, e negli occhi che non rintracciano più un orizzonte, la maturità espressiva di Valeria Golino incarna l’angoscia di una donna che sente mortalmente il velo del tempo come quando gioca a ingabbiarsi nella tenda trasparente di una doccia, nella fantasia ammessa e negata di lasciarsi andare via, per sempre, inconoscibile e incompresa, in un non luogo, dove finalmente dentro e fuori possano farsi sintesi. Soggetto e sceneggiatura del film partono dal testo L’Università di Rebibbia e dalla breve reclusione della poetessa per una storia di gioielli rubati e documenti falsi.

Lo sguardo del regista napoletano esplora l’aporia di chi, anche uscito, trasporta fuori privazione e sicurezze del carcere. Nella continua, ambigua dialettica tra dentro e fuori, nella relazione con l’ambiente, e la rivelazione dei sentimenti, tra la conquista di una dignità e il confronto con le regole sociali, si sviluppa una storia di amicizia tra donne che nel tempo attenua il reale protagonismo della scrittrice, tanto da indirizzare il pubblico verso l’angelica, sfrontata terrorista Roberta, che Matilda De Angelis arricchisce di un vissuto irregolare e complesso.

Elodie con la sua Barbara tiene bene il confronto visivo, lasciando una dolcezza che l’aspra Ottavia di Daphne Scoccia controbilancia al meglio. Del monumentale romanzo di Goliarda Sapienza, adagiato in una cassapanca tra blocchetti e pagine sparse, rifiutato per anni, e pubblicato solo grazie all’amore testardo del secondo compagno, il palermitano Angelo Maria Pellegrino, grecista e grande caratterista del cinema che Corrado Fortuna rende con assoluto nitore espressivo, oggi resta la condanna imprescrittibile per superficialità, per aver capito solo da vent’anni, dopo editori tedeschi e francesi, che grande autrice (ed attrice, anche!) del nostro Novecento sia la Sapienza.

Costretta a lungo nella marginalità, tra snobismo dei salotti e cure psichiatriche, nel filmato di fine film, ringraziava Rebibbia per averle dato quello che nessuno le aveva riconosciuto. La ricostruzione rigorosa dello scenografo Carmine Guarino e della costumista Loredana Buscemi restituisce un’epoca plumbea che auto, manifesti e insegne svelano nell’ingresso del consumismo e nel progressivo abbandono delle ragioni dell’anima, travaglio da troppi accettato con rassegnazione, e per le donne di cultura vissuto come mortale. Incompiuto a tratti, eppure splendidamente spiazzante come la vita, “Fuori” ci riporta a un’epoca di lotte e sentimenti dell’essere, che nel nostro avere a tutti i costi, talvolta ci rifiutiamo di riconoscere offuscati dalla deriva cui tempo e scelte ci hanno condotti.