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Cucina dietro le sbarre
Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell'Ordinamento.
Rebibbia, 26 maggio 2025 146' giorno di carcere
Esiste “L'Isola dei Famosi”, stucchevole programma di reality, ed esiste “L'Isola dei Divieti”, ovvero gli istituti penitenziari. Qui il gioco è quello di imporre divieti a caso e trovare il modo di aggirarli. Premetto che non sto accusando nessuno, anche perché non so se questi divieti provengono dall'Ordinamento, dal Dipartimento della Amministrazione penitenziaria o dalle singole Direzioni dei carceri. Chiamiamola genericamente l'Amministrazione.
Posso però dire che, se la prendi bene, è quasi divertente. Ma non aiuta la rieducazione. Cominciamo dal cibo. Ho già spiegato che quasi tutti i detenuti sono costretti ad improvvisarsi chef e che i risultati culinari sono anche apprezzabili.
Ma il nostro povero chef- detenuto non deve misurarsi solo con la difficoltà di cucinare tutto su tre o quattro fornelli di camping gas. No, sarebbe troppo semplice. L'Amministrazione è come il Diavolo: fa le pentole, ma non i coperchi. Infatti i detenuti possono comprare le pentole, ma non i coperchi. Motivo? Probabilmente perché i coperchi, opportunamente affilati, possono essere trasformate in armi da taglio. Ma, a parte il fatto che non è certo facile affilare dell'alluminio morbido, non viene il dubbio che un camping gas, opportunamente surriscaldato, è leggermente più pericoloso di un'alabarda fatta con coperchi di alluminio?
Questa fobia per le lame, attraversa tutto il carcere, per cui le forbici sono quelle della Chicco, i coltelli sono di una plastichetta tanto fragile che fa fatica a tagliare pure lo stracchino. Così, anche solo per avere uno spicchio un limone, nella cultura del riuso che pervade le celle lo sport preferito è quello di inventarsi un qualche modo per tagliare.
Poi c'è la fobia dei fili e delle corde. Capisco che il detenuto non possa avere una cinta se non elastica, ma quando questa fobia giunge a vietare l’acquisto del filo interdentale la situazione si fa inquietante. Nella spesa interna è possibile comprare un discreto numero di creme per la pelle, ma non la crema solare Per cui quando arriva l'estate il detenuto con la pelle sensibile, o non va più all'aria, o si ustiona. Ma io, che sono un “boia chi molla” con la pelle molto sensibile, ho vinto la mia battaglia: ho fatto una richiesta scritta l'ho fatta vidimare dal medico del carcere, l’ho inviata ai piani alti e, dopo profonde riflessioni durate più di una settimana, ho ottenuto che la struttura amministrativa possa comprare in farmacia questi prodotti. Si attende adesso che ciò avvenga, speriamo prima della fine dell'estate.


Passiamo alla cultura, che è vista con una certa aria di sospetto. Per carità, ci sono due Università autorizzate ad insegnare dentro le mura del carcere (io mi sono iscritto a Scienze della Comunicazione di Tor Vergata), ma sempre nella logica pentole si, coperchi no. Nel carcere non possono entrare libri con la copertina rigida, se li vuoi avere, devi devastarli stracciando questa pericolosissima copertina. Gli studenti universitari, solo loro, possono avere il collegamento web nel computer dell'aula universitaria, ma fortemente limitato, nel senso che non solo non puoi scrivere ( cosa ovviamente giusta) ma non puoi neppure guardare molti siti.
La cosa divertente è che tra questi siti esclusi c'è quello della Camera, del Senato e del Governo. Cultura del sospetto verso La Russa? Credo che sia più facile navigare fino ai siti pornografici, ma giuro che non lo so perché non ci ho provato. Sempre se sei studente universitario puoi comprare un computer portatile, ma è assolutamente vietato comprare o farsi portare pennette Usb o Cd riscrivibili. Io sto scrivendo un libro sulla mia visione politica ( ebbene sì, ne ho ancora una), ma non ho ancora capito come farò a far uscire dal carcere i file di questo libro. Poi c'è un mio dramma personale: la mediaticità.
Ho scoperto di essere classificato come un “detenuto mediatico” e quindi - come tutti quelli così classificati - non posso andare agli incontri culturali e artistici (ci hanno provato anche con quelli religiosi) che avvengono fuori dal Braccio. Qualche testata ha provato a farmi delle interviste, ma non è riuscita ad avere le autorizzazione. Come se, per lettera o attraverso il servizio mail che abbiamo a disposizione, uno non potesse comunicare con l'esterno e commettere il grave peccato di far sapere come la pensa. Non parliamo ovviamente di cose molto più serie. Mentre ero già in carcere è morta Suor Paola, la mia Santa protettrice (non è un modo di dire) a cui sono legato da vent'anni.
Ho provato a chiedere al giudice di sorveglianza il permesso di partecipare al funerale (ovviamente sotto scorta), ma niente da fare: si può sperare di andare solo ai funerali dei parenti più stretti. A qualcuno è successo che non lo hanno autorizzato ad andare a trovare la madre che stava morendo e poi, quando è morta, non è arrivato in tempo neppure il permesso per andare al funerale.
In un'altra puntata torneremo a parlare delle lunghe attese e delle risposte negative dei giudici di Sorveglianza. Diritti negati, principalmente, credo, perché i cumuli di pratiche sulle scrivanie sono troppo alti e i cancellieri sono troppo pochi: per fortuna ci sono gli agenti della Polizia penitenziaria (ho scritto bene Dottoressa?) che, nella stragrande maggioranza dei casi, fanno i salti mortali per aiutarti a fronteggiare tutti questi divieti casuali. Ma sono, anche loro, pochi, troppo pochi. Qui torniamo al solito punto: non credo che nell'Amministrazione o nei Tribunali di sorveglianza ci siano i “cattivi”, credo che siano troppo pochi e troppo stressati di fronte all'enorme massa di detenuti che dovrebbero non solo sorvegliare ma anche avviare verso la strada della rieducazione e del reinserimento.
II sistema penitenziario è collassato, ha bisogno di un'immediata riduzione di sovraffollamento che permetta una riorganizzazione complessiva. Vogliamo smettere di far finta di nulla? Perché questa “Isola dei Divieti” sarà anche divertente, ma non aiuta le persone detenute a imparare a credere nelle Istituzioni.