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“Hey Joe”, scritto e diretto da Claudio Giovannesi, reca in dono uno straordinario James Franco, e la maturità interpretativa di Francesco Di Napoli. È un film da afferrare, tra arene e piattaforme: due Nastri d’Argento per la scenografia di Tonino Zera e i costumi di Massimo Cantini Parrini, e una storia incastonata nella doppia, sensoriale ricostruzione della disperata Napoli del 1944 e di quella furbesca del 1971, che sfiorò la magia del primo scudetto nel calcio in un’epoca di estrema problematicità sociale.
L’opera restituisce alla città i suoi colori: nere le notti e blu gli scafi dei contrabbandieri; gialle le luci dei lampioni, rosse le abatjour dei locali per soli uomini. Intorno alle auto in sosta, il sesso mercenario nei bassi dei Quartieri Spagnoli. Negli angiporti, una malavita secolare riafferma la sua presenza. Leggendaria come i primi di pesce a Santa Lucia. Il passato fa rivivere pezzi di quella Napoli anche sulla Sila catanzarese, a Pizzo Calabro, e nelle viscere di Taranto, con grande intelligenza registica.
“Hey Joe” espone le conseguenze di ogni guerra, nel 1944 come nel Vietnam del 1971, e lo fa sottilmente, alla Base USAF di Bagnoli, e tra i marinai in libera uscita ai night club di Piazza Francese; è una storia di redenzioni e assenze, che dal personaggio di James Franco si allarga ad altre vite. La ricerca dell’uomo, che realizza tardivamente la paternità, si riflette sulla coscienza di chi guarda, negli inevitabili errori, e nelle incertezze del presente, schiavi di miti interiori che non potranno più tornare. Dean, che onora l’amore puro di Lucia nel cercare per la prima volta Enzo, si perde in consonanze di luoghi e persone, stregato da una città- vipera che sibila bellezza e pericolo.
Nel realismo magico di Giovannesi la poesia è nuda e nascosta come la Luger nazista sull’armadio: il veterano di Marina Dean Barry si integra nella Napoli dimidiata tra povertà e guapparia, destinata a vedere l’ascesa di una camorra violenta e priva di codici. Dean vive quel blasfemo presepe di biscazzieri, estorsori, guardiaspalle e prostitute, dove il sogno americano non intriga quanto la fuga sul mare in tempesta dalla Finanza. Egli scende nell’inferno dei bassifondi tra vico Politi a Montecalvario e le strettoie del quartiere Pendino, presenza abituale dei territori che attraversa, intessendo relazioni, più forte di ogni tradimento e rifiuto, inseguendo la scommessa della vita.
La Bambi di Giulia Ercolini è guida velenosa e dolce, indurita dalla vita che fa. Sogna di ridiventare Angela ma soccombe alla paura di cambiare, come tante signorine del ’ 44, che tra i ruderi bombardati dicevano Hey, Joe! a ogni uniforme americana di passaggio, cercando di afferrare qualcosa.
Enzo e Dean vivono reciproci disallineamenti, tra gli inviti vani di Nunzia (Francesca Montuori) e l’estremo ostracismo di Don Vittorio (Aniello Arena). Il veterano, nella sincerità delle sue ammissioni, abbraccia fino all’abiura di sé ogni dolorosa consapevolezza, ma sceglie un’ipotesi di futuro.
Nelle interviste a Variety e Repubblica, l’uomo James Franco fa capire di essersi identificato nel personaggio, valicando la Seconda Montagna dell’esistenza, dopo essere stato silenziosamente accantonato da Hollywood per lo scandalo degli abusi nella sua scuola di recitazione, recitando finalmente in un vero film, dopo uno stop durato ben cinque anni. Per l’attore di “Hey Joe” è iniziata la rinascita, superando vari sbagli, nella necessità di amarsi di più, e gioire di una vita senza dipendenze, smettendo ogni snaturamento nei rapporti umani. L’attore ha ritrovato la libertà, sfuggendo al suo Don Vittorio, metafora della schiavitù criminale e psicologica, ritornando immenso.