Chiunque avesse chiesto all’ottantottenne cardinal Camillo Ruini il suo pensiero circa il politico più bellicoso e divisivo dell’Italia di oggi, non avrebbe potuto che attendersi sguardi benevoli d’accompagno al precetto “la Chiesa con Salvini deve dialogare”, che il giornalista del Corriere della Sera ha infatti puntualmente raccolto. Nello scalpore suscitato, si tratta solo del segno dell’indomabilità di un vero e proprio protagonista, ai limiti dell’attivismo, della politica italiana, durante tutti i suoi 16 anni da presidente della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani.

Non solo per la lampante contrapposizione con le posizioni di Bergoglio, o perché sin dall’uscita di scena di Ruini prima e di Bertone poi a quel protagonismo politico della CEI si è tirato il freno e imposto il silenzio, rotto solo recentemente dall’attenzione per la società italiana di Papa Francesco - che peraltro rifiuta di incontrare Salvini, e non manca di stigmatizzare chi «in politica semina odio».

Quanto perché la storia dell’interventismo nella politica italiana di Ruini è lunga, e di grande lena. Si iscrive nella sempiterna lotta del cattolicesimo tradizionalista ai cattolici democratici, certo. Ma il metodo, lo stile, e persino il fine sono ben diversi dal confronto che si usa far risalire a De Gasperi, politico cattolico democristiano che rifiutava le ingerenze vaticane, e Don Sturzo, sacerdote tra i fondatori della Dc che si provò ad appoggiare apertamente l’ipotesi di una alleanza per Roma coi missini.

All’epoca, la politica incrociava comunque le idee, i metodi erano quelli del confronto alto e aperto. De Gasperi e Sturzo erano amici strettissimi. E, al primo tentativo di un impegno diretto in politica con sostegno d’Oltretevere, De Gasperi si sottrasse. Rompendo dolorosamente con Luigi Sturzo, e poi anche con Pio XII.

La pratica di Ruini, e il suo protagonismo sulla scena politica italiana, vengono da lontano, e poiché si tratta di una mente acuta dotata di finissima abilità pratica, complice il tracollo morale della politica e della Dc in particolare, è tale da aver orientato e comunque di certo anticipato gli orizzonti politici italiani.

Tutto comincia a metà degli anni Ottanta, sin dalle fasi preparatorie del Convegno di Loreto, che aveva ai vertici due uomini molto diversi tra loro, Carlo Maria Martini presidente e Camillo Ruini segretario. Wojtyla è stato eletto Papa il 16 ottobre 1978, a febbraio 1984 il governo Craxi vara il nuovo Concordato, noto anche come “accordo di Villa Madama”, che ribadisce l’indipendenza tra Stato e Vaticano e largheggia in garanzie per la Chiesa a cominciare dal varo dell’ 8 per mille, poi a dicembre 1985 si tiene l’assemblea straordinaria del sinodo dei vescovi. Dal quale la Cei esce, oltre che rafforzata ( anche finanziariamente) dal nuovo patto con lo Stato, legittimata e anzi spronata a scendere politicamente in campo dall’intervento conclusivo di Papa Wojtyla a Loreto.

E commissariata sulla linea dei “presenzialisti” in politica proprio da monsignor Ruini, che della Cei diventerà poi presidente nel 1991. Anticipando quello che poi sarebbe accaduto con il tracollo anche morale della Dc a Tangentopoli, Ruini “usa” i cattolici tradizionalisti e militanti di Comunione e Liberazione ( che pure non ama) contro i cattolici democratici, contro le Acli e l’Azione Cattolica.

L’interventismo cristiano, l’ “impegno dei cattolici in politica” - secondo una formula che si usa ancora oggi- cambia orientamento, muta di segno: non solo si prescrive l’azione in politica, ed è una vera novità, ma la si orienta a destra. Contro il “relativismo morale”. Nel giro di un paio d’anni, tracollata la Dc, scende in campo Berlusconi. A lui, e al centrodestra italiano, l’interventismo varato a Loreto fornirà la spina dorsale che il Polo delle Libertà, presunto liberale, non aveva: un sistema di valori.

Un pantheon di riferimento giunto dal ‘ 94 - nell’aprile proprio di quell’anno Ruini lancia il suo “Progetto culturale” - sino all’elezione di Bergoglio che ha segnato la vera chiusura della stagione ruiniana, passando per i ratzingeriani teo- con italici. E negli interregni del ventennio berlusconiano in cui il centrodestra non è al potere, Ruini non sta con le mani in mano. È all’opposizione, in prima linea. Dal famoso editoriale «Non possumus» non firmato sull’Avvenire ( che della Cei è l’organo ufficiale) diretto da Dino Boffo, col quale si dichiarava guerra alla legge del governo Prodi sulle unioni civili, sino alla militanza in piazze a favore della legge 40, la folle norma sulla procreazione assistita che la Corte costituzionale ha dovuto negli anni cancellare interamente a colpi di sentenze.

Ma non solo: poiché si tratta di un abilissimo tattico, Ruini aveva spinto perché in ogni schieramento venissero candidate personalità vicine ai suoi orientamenti, in modo da poter giocare politicamente e frantumare le posizioni avverse dall’interno. Nella Margherita guidata da Francesco Rutelli per esempio arrivarono cattolici integralisti o di destra come Paola Binetti e Luigi Bobba, alfieri della legge 40, e in quanto a Binetti proprio colei che fece deflagrare il caso dei Dico. Oltre le posizioni da guerra di religione, si era portata la battaglia contro il cattolicesimo democratico nel cuore dello schieramento di governo: il governo di Romano Prodi, dossettiano e “cattolico adulto”.

Uno spettacolo poco entusiasmante soprattutto per la Chiesa, se si pensa alla finezza e all’abilità di un Silvestrini, che inventó contro i regimi comunisti quell’Ostpolitik del dialogo senza la quale i cristiani dell’Est sarebbero rimasti abbandonati a se stessi, e che permise a Woytjla di andare in visita Oltrecortina.

Dunque, non meraviglia l’endorsement di Ruini a Salvini: il fine giustifica i mezzi. E il fine non è il sostegno a Salvini: è l’attacco a Bergoglio, ai bergogliani, e ai cattolici democratici. Del resto, la destra cristiana ha giustificato e anzi magnificato la guerra in Iraq: è tanto strano che consideri Salvini un interlocutore?