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Un messaggio arrivato da Gaza. Una preghiera, una gratitudine che supera i confini e le bombe. Fadi, intrappolato con la sua famiglia tra le rovine e l’assedio, ha affidato a sua sorella Leen un pensiero per Mimmo Lucano: «Grazie per non averci dimenticati». Un filo sottile, eppure resistente, tiene uniti il sud della Palestina e il sud dell’Italia. È il filo dell’umanità.
Leen ha raccontato a Lucano e ai suoi compagni di viaggio che solo di recente ha trovato il coraggio di raccontare alla sua famiglia ciò che stanno tentando di costruire, anche dall’Italia, per aiutarli. Temeva di illuderli, di riaccendere una speranza che potesse poi spegnersi ancora, nell’oscurità di un assedio senza fine. Ma ha deciso di farlo. Perché anche solo sapere che, dall’altra parte del mare, qualcuno pensa a loro, può cambiare qualcosa.
Lucano ha accolto quel ringraziamento con le parole di sempre: semplici, schive, eppure cariche di forza. «Questo messaggio dà senso al mio impegno come rappresentante degli ultimi in un’Europa che troppo spesso rinnega i valori per cui è nata», ha detto. «Come sindaco di una piccola comunità la cui esperienza di accoglienza è stata strumentalmente distrutta. Come militante che cerca, ogni giorno, un’altra umanità possibile».
Una coerenza che non nasce oggi. Pochi giorni fa, Lucano ha parlato al Parlamento europeo con toni netti, duri, coraggiosi: «Il silenzio è complicità, specie se rimbomba assordante dalle più alte istituzioni politiche europee. Ursula Von Der Leyen e l’Alta Rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas sono rimaste inerti di fronte allo sterminio sistematico del popolo palestinese da parte del governo genocida di Netanyahu. La Commissione europea ha legittimato questo genocidio in atto riconoscendo il diritto d’Israele a difendersi dagli attacchi esterni. Ma cosa c’è di legittimo davanti a più di 55 mila vittime civili, tra cui migliaia di donne e bambini, e alla disgustosa violazione del diritto internazionale e umanitario? A nome mio e del mio gruppo parlamentare The Left, chiedo che il governo europeo applichi durissime sanzioni allo stato d’Israele e revochi gli accordi commerciali e militari stipulati con esso. E chiedo soprattutto: libertà, adesso, per il popolo palestinese».
Quella parola, libertà, è il cuore del suo impegno. E per Mimmo Lucano accogliere non è mai stato solo un gesto umanitario. È un gesto politico. Lo è stato fin dall’inizio, da quando Riace aprì le porte a chi fuggiva da guerre dimenticate. «Sento che il mio cuore è sintonizzato su ciò che accade, perché chi fa politica — a qualsiasi livello, locale, regionale, nazionale o europeo — non può ignorare quello che succede ogni giorno», ha ricordato. «Noi parliamo, prendiamo stipendi, occupiamo poltrone. Ma la politica è anche la causa della morte di persone innocenti. Di bambini».
Riace fu tra i primi Comuni italiani ad accogliere, nel 2009, i rifugiati palestinesi in fuga dal campo profughi di al-Tanf, al confine tra Siria e Iraq, dove si erano rifugiati dopo essere stati perseguitati a seguito della caduta del regime di Saddam Hussein. La proposta arrivò dal prefetto di Reggio Calabria Luigi De Siena, che cercava Comuni disposti ad accoglierli. Solo Riace — e poi Caulonia, con il sindaco Ilario Ammendolia — dissero sì. Da lì nacque la “Locride solidale”. Arrivarono pullman organizzati dalla Farnesina. «Con loro c’era una persona che non dimenticherò mai: Dario Caputo, ex prefetto di Agrigento oggi in pensione», ricorda Lucano. «Quando i rifugiati palestinesi arrivarono, i cittadini del paese che stavano al bar vicino al centro si alzarono tutti in piedi e li accolsero con un applauso». Una scena che commosse il regista Wim Wenders, presente quella sera a Riace. Così tanto da volerla raccontare in un documentario. E, in occasione del ventennale della caduta del Muro di Berlino, prese la parola a Berlino e disse: «La vera utopia non è la caduta del muro, ma ciò che ho visto in Calabria».
«Io ho cercato di costruire una speranza», dice oggi Lucano. «Una speranza che ha reso Riace un esempio di accoglienza. Ecco cosa vuol dire essere sindaco di questo paese. Ecco cosa vogliono distruggere». Ma la speranza, come quel messaggio da Gaza, continua ad attraversare i muri. Perché c’è chi non dimentica. E continua a scegliere, ogni giorno, l’umano.