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Associated Press/LaPresse
Migliaia di persone hanno invaso le strade del centro di Teheran per rendere omaggio ai vertici delle Guardie Rivoluzionarie uccisi durante la recente guerra-lampo con Israele. Le bare del generale Hossein Salami, comandante delle Guardie, del generale Amir Ali Hajizadeh, responsabile del programma di missili balistici, e di altri alti funzionari militari e scienziati nucleari sono state trasportate su camion lungo Azadi Street, in un corteo funebre carico di simboli, dolore e retorica patriottica.
Secondo la televisione di Stato, i funerali hanno riguardato complessivamente 60 persone, tra cui anche quattro donne e quattro bambini. Le autorità hanno decretato la chiusura degli uffici governativi per consentire ai dipendenti pubblici di partecipare. È stata la prima cerimonia pubblica dopo l'annuncio del cessate il fuoco, arrivato martedì, che ha messo fine a dodici giorni di combattimenti intensi tra Iran e Israele, considerati il conflitto diretto più grave mai avvenuto tra i due Paesi.
Secondo Israele, la guerra, iniziata il 13 giugno, aveva l'obiettivo di disarticolare il programma nucleare iraniano e neutralizzare le figure chiave del potere militare e scientifico di Teheran. In meno di due settimane, lo Stato ebraico ha dichiarato di aver ucciso circa 30 alti comandanti delle Guardie Rivoluzionarie e 11 scienziati coinvolti nello sviluppo nucleare. Otto strutture collegate al programma atomico sarebbero state distrutte, insieme a oltre 720 siti di infrastrutture militari.
Il bilancio complessivo, secondo il gruppo di attivisti "Human Rights", con sede a Washington, supera i mille morti. Tra questi, almeno 417 civili. Si tratta di uno degli scontri più letali nella regione dall’invasione americana dell’Iraq nel 2003, con conseguenze potenzialmente devastanti sul futuro equilibrio in Medio Oriente.
Alla cerimonia funebre hanno partecipato il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e il generale Esmail Qaani, capo della Forza Quds, il braccio operativo delle Guardie all’estero. Presente anche Ali Shamkhani, uno dei consiglieri più influenti della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, nonché ex negoziatore nei colloqui sul nucleare. La sua presenza ha smentito le prime voci, circolate nei giorni scorsi, secondo cui Shamkhani e lo stesso Qaani sarebbero rimasti uccisi nei raid israeliani.
La manifestazione ha assunto un forte significato politico: da un lato, ha mostrato la compattezza del regime dopo la perdita di figure chiave; dall’altro, ha lanciato un messaggio all’esterno sullo spirito di resistenza dell’apparato militare e istituzionale iraniano. La folla, vestita di nero, ha scandito slogan contro Israele e gli Stati Uniti, esibendo ritratti delle vittime come simboli di martirio.
In parallelo, si è riacceso lo scontro verbale tra Iran e Stati Uniti. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha attaccato duramente il presidente Donald Trump. «Se Trump è davvero interessato a un accordo, smetta di usare toni irrispettosi nei confronti della Guida Suprema e dei suoi milioni di seguaci», ha scritto su X. Araghchi ha poi aggiunto: «Il popolo iraniano ha dimostrato che il regime israeliano non ha altra scelta se non quella di correre a piangere dall’America per non essere annientato dai nostri missili».
Il ministro ha concluso con un avvertimento: «Se gli Stati Uniti continueranno a vivere nell’illusione, l’Iran mostrerà le sue vere capacità. Il rispetto genera rispetto. La buona volontà genera buona volontà».
La risposta di Trump non si è fatta attendere. In un post sul suo social network Truth, ha smentito con forza le notizie secondo cui l’amministrazione americana avrebbe discusso un possibile accesso dell’Iran a 30 miliardi di dollari per sviluppare un programma nucleare civile. «Mai sentito nulla del genere. È solo un’altra bufala dei media corrotti. Gente malata!», ha scritto l’ex presidente, accusando i giornalisti di inventare notizie per danneggiarlo.
Lo scontro fra Iran e Israele ha riaperto vecchie ferite nella regione e rimesso in discussione gli equilibri di potere. Da anni i due Paesi si combattono indirettamente, attraverso attacchi informatici, sabotaggi e colpi mirati in Siria, Iraq e Libano. Ma mai prima d’ora un conflitto si era spinto così vicino al cuore delle rispettive strutture militari e strategiche.
Per ora, il cessate il fuoco regge, ma la tensione resta altissima. Il lutto nazionale per i comandanti uccisi si è trasformato in un’occasione per riaffermare l’unità interna dell’Iran, mentre sul fronte internazionale le diplomazie restano immobili, in attesa di capire se si tratti davvero della fine di una crisi o solo di una pausa momentanea.