«Fratelli e sorelle, continuiamo a pregare perché ovunque tacciano le armi e si lavori per la pace attraverso il dialogo». Con queste parole, pronunciate al termine dell’Angelus, Papa Leone XIV ha sigillato il cuore della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma e colonne della Chiesa universale. Davanti a una Piazza San Pietro gremita di fedeli, il Pontefice ha riaffidato al mondo il compito di trasformare i conflitti in occasioni di riconciliazione, indicando come bussola la preghiera e la diplomazia.

Già nell’introdurre la recita mariana, Leone XIV aveva invocato l’aiuto di «Pietro e Paolo, insieme con la Vergine Maria, perché in questo mondo lacerato la Chiesa sia casa e scuola di comunione». Sullo sfondo delle tombe apostoliche, meta millenaria di pellegrinaggio, il Papa ha ricordato come proprio gli errori e le contraddizioni dei due grandi apostoli diventino oggi monito e speranza: «Il Nuovo Testamento non nasconde i loro peccati… la loro grandezza, infatti, è stata modellata dal perdono».

Per Leone XIV, quell’intreccio di fragilità e grazia fonda la dinamica stessa dell’unità ecclesiale: «L’unità nella Chiesa e fra le Chiese si nutre di perdono e di reciproca fiducia». E ha aggiunto, quasi a bussare alla porta delle famiglie: «Se Gesù si fida di noi, anche noi possiamo fidarci gli uni degli altri, nel suo Nome».

Nel breve discorso che precede l’Angelus, il Pontefice ha ribadito la vocazione primigenia della Sede di Pietro: «Il mio servizio episcopale è servizio all’unità e la Chiesa di Roma è impegnata, dal sangue dei Santi Pietro e Paolo, a servire la comunione tra tutte le Chiese». Un principio, ha insistito, che si fa ancora più urgente dinanzi alle persecuzioni contemporanee: «Anche ai nostri giorni, in tutto il mondo, vi sono cristiani che il Vangelo rende generosi e audaci persino a prezzo della vita… Esiste così un ecumenismo del sangue, un’invisibile e profonda unità fra le Chiese cristiane».

Questa tensione alla comunione ha trovato forma liturgica nella consegna del pallio a 54 nuovi arcivescovi metropoliti, avvenuta durante la Messa mattutina in San Pietro. «Carissimi, questo segno, mentre richiama il compito pastorale che vi è affidato, esprime la comunione con il Vescovo di Roma, perché nell’unità della fede cattolica ciascuno di voi possa alimentarla nelle Chiese locali a voi affidate», ha detto Leone XIV nell’omelia, riaccendendo un rito che egli stesso ha voluto ripristinare: a differenza del suo predecessore Francesco, che limitava la cerimonia alla sola benedizione, il nuovo Papa impone personalmente il pallio sugli arcivescovi.

All’altare, non è mancato il riferimento alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, guidata dall’inviato di Sua Santità Bartolomeo. «Con viva riconoscenza saluto la Delegazione del Patriarcato Ecumenico», ha affermato il Papa, richiamando l’urgenza di «fare delle nostre diversità un laboratorio di unità e di comunione, di fraternità e di riconciliazione». È il terreno – ha aggiunto – su cui fiorisce la «comunione ecclesiale», frutto dello Spirito che «unisce le diversità e crea ponti… perché la varietà dei doni, raccordata nell’unica fede, contribuisca all’annuncio del Vangelo».

Nel cuore dell’omelia, Leone XIV ha rilanciato un interrogativo caro anche a Papa Francesco: «Se non vogliamo che il nostro essere cristiani si riduca a un retaggio del passato… è importante uscire dal rischio di una fede stanca e statica, per chiederci: chi è oggi per noi Gesù Cristo? Che posto occupa nella nostra vita e nell’azione della Chiesa?». L’invito è a una “conversione in conversione”, alla luce della storia stessa dei patroni di Roma: «I nostri Patroni hanno percorso sentieri diversi, hanno avuto idee differenti, a volte si sono confrontati e scontrati… Eppure ciò non ha impedito loro di vivere la concordia apostolorum».

È proprio l’immagine della “armonia di voci e di volti” che illumina gli orizzonti del nuovo pontificato. «La comunione a cui il Signore ci chiama è un’armonia che non cancella la libertà di ognuno», ha spiegato il Papa, citando sant’Agostino: «Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli… Benchè siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola». Da qui l’esortazione finale: «Abbiamo bisogno di tale fraternità: la Chiesa, le relazioni tra laici e presbiteri, tra i presbiteri e i vescovi, tra i vescovi e il Papa; così come ne hanno bisogno il dialogo ecumenico e il rapporto di amicizia con il mondo».

Prima del congedo, Leone XIV ha rivolto il pensiero alla Repubblica Centrafricana, colpita nei giorni scorsi da una tragedia nel liceo Barthelemy Boganda di Bangui: «Assicuro la mia preghiera per la comunità… Il Signore conforti le famiglie e l’intera comunità». Un appello che, accostato alla supplica per il cessate‑il‑fuoco globale, ricompone il filo rosso di una giornata segnata dalla richiesta di riconciliazione.

«Impegniamoci – è stato l’appello conclusivo di Leone XIV – a fare delle nostre diversità un laboratorio di unità». Così la festa dei Santi patroni di Roma diventa, anno dopo anno, un memoriale e un programma: memoria di sangue versato, progetto di pace, fraternità e dialogo che non conosce confini.