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GIUSEPPE BATURI, MONSIGNORE
«No, non può esserci un diritto alla morte simmetrico al diritto alla vita». Lo afferma con decisione monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della CEI e arcivescovo di Cagliari, in un’intervista all’Unione Sarda. Un intervento netto sul tema del fine vita, proprio nei giorni in cui il Consiglio regionale discute una legge sul tema.
«Prendersi cura del fine vita – sottolinea il presule – non significa affermare un diritto alla morte, ma garantire la dignità del vivere fino all’ultimo istante. Questa deve essere la nostra preoccupazione comune».
Per Baturi, è necessaria un’alleanza tra istituzioni pubbliche, sistema sanitario, mondo del volontariato, terzo settore e comunità ecclesiale per accompagnare con umanità e competenza le persone nel momento più fragile della vita. Un patto sociale che, secondo l’arcivescovo, deve essere fondato su un principio chiaro: «Non si tratta di pensare alla dignità della morte, ma a quella della vita».
Durante la sua visita alla sede del gruppo L’Unione Sarda, dove ha incontrato l’editore Sergio Zuncheddu, il vicepresidente Franco Siddi e il direttore Emanuele Dessì, Baturi ha ribadito che la vera sfida del fine vita è garantire «cure totali», capaci di alleviare un dolore che non è solo fisico, ma anche psicologico e spirituale.
Il segretario della CEI ha puntato il dito sul grave ritardo della Sardegna nell’accesso alle cure palliative, collocata tra le ultime regioni italiane. «Bisogna applicare con maggiore decisione piani territoriali per estendere queste cure a tutta la popolazione – ha spiegato – e potenziare la presenza di hospice, strutture adeguate e percorsi di terapia del dolore».
Ma non basta. Per l’arcivescovo è fondamentale anche il coinvolgimento del terzo settore e dei volontari, affinché l’assistenza sia realmente integrale, e non si limiti alla dimensione clinica: «La persona va accompagnata nella sua interezza, anche quando il dolore sembra totale».