Asifa Bano è stata rapita a gennaio ed è stata drogata e violentata più volte prima di essere uccisa. Il suo corpo, sfigurato, è stato ritrovato una settimana dopo in una foresta. Asifa aveva otto anni, faceva parte della comunità nomade musulmana, e viveva nel Kashmir indiano, una regione a maggioranza musulmana. La polizia ha individuato i responsabili tra la comunità indù ma i rappresentanti, anche politici, della fazione si sono rifiutati di consegnarli perchè ritengono si tratti di una ritorsione politica. Un orrendo crimine, l’ennesimo, divide quindi l’India. Molti sono scesi in strada a protestare per chiedere più giustizia.

Non solo per Asifa ma anche per tutte le altre vittime di abusi. Tra queste c’è una ragazzina di 16 anni violentata nel giugno scorso da un membro del Partito del popolo indiano nello Stato dell’Uttar Pradesh. Domenica scorsa la giovane aveva cercato di suicidarsi davanti alla casa del governatore regionale, Yogi Adityanath, e il giorno dopo suo padre è stato pestato a morte presumibilmente dai sostenitori del politico accusato.

L’indignazione nazionale e il rischio che lo shock si trasformi in violenza hanno portato il primo ministro indiano, Narendra Modi, a promettere giustizia.

«Voglio garantire al Paese che nessun criminale sarà perdonato, sarà fatta giustizia completa, le nostre figlie otterranno giustizia», ha affermato Modi in una cerimonia pubblica. Mohammad Yusuf Pujwala, il padre della vittima, ha dichiarato al quotidiano statunitense New York Times che ritiene che sua figlia sia stata uccisa dagli induisti al solo scopo di allontanare la sua gente dalla regione.