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Chokri Belaid
La Corte d’appello di Tunisi, sezione penale specializzata in casi di terrorismo, ha deciso di rinviare la data del verdetto nel processo per l’assassinio del leader politico Chokri Belaid, ucciso il 6 febbraio 2013 davanti alla sua abitazione nel quartiere Ariana, alla periferia della capitale tunisina. La decisione arriva dopo il completamento degli interrogatori di tutti gli imputati, compresi quelli a piede libero, e l’ascolto delle arringhe difensive, come riportato dall’emittente locale Diwan FM.
Il procedimento resta segnato da forti tensioni. Nizar Senussi, avvocato della parte civile, ha espresso contrarietà al processo a distanza, sostenendo che il caso non sia ancora maturo per una decisione definitiva. La difesa delle vittime ha presentato diverse richieste istruttorie preliminari, alcune delle quali – secondo Senussi – non sono state ancora accolte.
Chi era Chokri Belaid: simbolo della sinistra laica tunisina
Avvocato, leader del Fronte Popolare e critico severo del partito islamista Ennahda, allora al governo, Belaid è considerato una delle figure più rilevanti della sinistra tunisina post-rivoluzione. Il suo assassinio, avvenuto appena due anni dopo la rivoluzione dei gelsomini del 2011, ha rappresentato una frattura profonda nella transizione democratica del Paese. Pochi mesi dopo, nel luglio 2013, anche un altro esponente della stessa coalizione, Mohamed Brahmi, fu assassinato con la stessa arma automatica da nove millimetri, come confermò all’epoca il ministro dell’Interno Lotfi Ben Jeddou. Entrambi i leader furono uccisi da jihadisti affiliati ad Ansar al-Sharia, gruppo radicale vicino alla galassia salafita, che rivendicò entrambi gli attentati.
Dopo gli omicidi, migliaia di tunisini scesero in piazza davanti al ministero dell’Interno di Tunisi, accusando Ennahda, il partito locale della Fratellanza Musulmana, di essere moralmente responsabile del clima d’odio che aveva favorito l’ascesa dell’estremismo. Da allora, il caso Belaid è diventato un simbolo delle tensioni tra laici e islamisti, con ripercussioni durature sulla politica tunisina. Oggi, Ennahda – che ha guidato il Paese per un decennio – nega qualsiasi coinvolgimento diretto e sostiene che le sentenze «dimostreranno la sua estraneità ai fatti».
Accuse di distruzione di prove
A complicare ulteriormente il quadro, l’ex procuratore generale che seguì le indagini preliminari è stato deferito alla giustizia tunisina con l’accusa di aver distrutto deliberatamente prove rilevanti. L’ipotesi di reato è quella di occultamento e soppressione di elementi probatori. Un episodio che alimenta i dubbi sulla trasparenza del sistema giudiziario e sulle interferenze politiche negli anni in cui Ennahda esercitava un forte controllo istituzionale.