PHOTO
Nicolas Sarkozy
I giudici della Procura nazionale finanziaria (Pnf) hanno comunicato ieri a Nicolas Sarkozy la data in cui comincerà la sua detenzione: il 21 ottobre. Con ogni probabilità verrà trasferito nella struttura della Santé, storica prigione della capitale che dispone di un braccio speciale per le “persone vulnerabili” relativamente isolato dal resto del penitenziario.
È una decisione grave, che segna un punto di non ritorno nella storia politica francese: mai nella Quinta Repubblica un ex presidente aveva varcato le porte di un carcere. Una decisione che, allo stesso tempo, solleva una questione ancora più delicata sulla serenità e l’imparzialità dei giudici che lo hanno condannato. Non perché il 70enne Sarko debba essere considerato al di sopra della legge e godere di chissà quali privilegi, ma perché, a leggere le motivazioni della sentenza, il confine fra giustizia e accanimento non è mai stato così sottile.
Come scrive su La Croix l’avvocato penalista Pierre- Olivier Sur, «l’affaire Sarkozy infrange in vecchio dogma: non si commentano le i verdetti giudiziari; si tratta di un adagio ipocrita, i verdetti si possono commentare eccome, specie quello sull’ex inquilino dell’Eliseo». Secondo Sur e secondo altre decine di avvocati che in queste settimane sono intervenuti sui principali media transalpini, la sentenza di 380 pagine giungerebbe a conclusioni del tutto incoerenti con le premesse: «È come se a un certo punto i giudici si fossero dissociati da se stessi, rompendo l’unità del loro pensiero, è incomprensibile».
L’affaire dei fondi libici che avrebbero finanziato illegalmente la vittoriosa campagna presidenziale del 2007 parte infatti da un’inchiesta del sito di investigazione online Mediapart che nel 2012 pubblica una nota ufficiale datata 10 dicembre 2006, firmata da Moussa Koussa, allora capo dei servizi di intelligence esteri di Gheddafi, in cui si autorizzava un finanziamento di cinquanta milioni di euro a favore della campagna del leader gollista.
Ma come scrivono gli stessi giudici, quel documento era inattendibile, «molto probabilmente un falso». Se il primo anello della catena è difettoso perché allora non è crollato tutto il castello delle accuse? La logica avrebbe voluto che da questa scoperta derivasse l’assoluzione piena dell’imputato per mancanza di prove come sostengono i suoi legali. E in effetti, Sarkozy viene prosciolto dalle accuse più gravi: finanziamento illecito della campagna elettorale, corruzione passiva, riciclaggio di fondi pubblici.
Non sfugge tuttavia a un’altra condanna, quella più vaga e insidiosa per “associazione a delinquere”, reato che era stato abolito da Robert Badinter nel 1983 e reintrodotto dieci anni dopo dal governo di centrodestra di Eduard Balladur.
Per i giudici Sarkozy «ha avallato» (termine peraltro estraneo al lessico giuridico) i tentativi di ottenere finanziamenti neri da parte dei suoi più stretti collaboratori. Quali gesti avrebbe materialmente compiuto per “avallare” il tentativo di reato? Questo non è dato saperlo.
C’è poi l’esecuzione provvisoria della pena, cioè la decisione di mandare Sarkozy in prigione prima che la sentenza diventi definitiva. Giuridicamente non si tratta di una “pena”, ma di una misura di sicurezza: un modo per impedire la fuga o prevenire nuovi reati. Ma se un simile provvedimento è usuale per i crimini violenti o legati alla criminalità organizzata, per i reati finanziari è un’assoluta rarità.
Nel caso di Sarkozy appare come una forzatura, un accanimento personale considerando nulli i rischi di fuga o di reiterazione del reato. Sarà questo il nodo centrale della richiesta di libertà vigilata che nelle prossime ore verrà presentata dagli avvocati dell’ex presidente francese; se venisse respinta come appare probabile dal 21 ottobre la nuova casa di Sarko sarà un cella di nove metri quadrati.