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President Donald Trump meets with NATO Secretary General Mark Rutte in the Oval Office of the White House, Wednesday, Oct. 22, 2025, in Washington. (AP Photo/Alex Brandon)
Le tensioni diplomatiche tra Washington e Kiev tornano al centro del dibattito internazionale dopo le parole del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha criticato apertamente Volodymyr Zelensky definendolo «non pronto» a firmare la proposta di pace americana per chiudere il conflitto tra Russia e Ucraina. Da Washington, prima di partecipare al Kennedy Center Honors, il presidente ha dichiarato: «Sono un po’ deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta, lo ha fatto poche ore fa. Il suo popolo la apprezza, ma lui no». Trump ha poi aggiunto: «Credo che la Russia sia d’accordo, ma non sono sicuro che lo sia anche Zelensky. Il suo popolo la apprezza. Ma lui non è pronto».
Una presa di posizione che arriva in un momento delicatissimo per il futuro dei negoziati e che, ancora una volta, mette in luce la distanza tra le pressioni statunitensi e la linea del governo ucraino, impegnato da oltre due anni nella resistenza contro l’invasione russa.
Il presidente americano ha affrontato anche un altro tema strategico: la maxi-fusione da 72 miliardi di dollari tra Netflix e Warner Bros Discovery. «Potrebbe rappresentare un problema», ha ammesso ai giornalisti, sottolineando che l’operazione dovrà superare un processo regolatorio complesso. «Hanno una quota di mercato molto elevata. Quando hanno la Warner Bros, quella quota aumenta notevolmente», ha osservato riferendosi al rischio di un eccesso di concentrazione nel mercato dell’intrattenimento.
Mentre dagli Stati Uniti il confronto geopolitico si intreccia con quello economico, dal fronte europeo arriva la riflessione del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. In un’intervista al “Corriere della Sera”, il segretario di Forza Italia ha illustrato la necessità di una svolta strutturale per il futuro dell’Unione Europea. «Nei momenti di massima crisi si possono aprire nuove opportunità», ha affermato, richiamando la necessità di un «elettroshock indispensabile per salvare l’Europa dal tramonto, dal ridursi a gigante economico e nano politico». Tajani ha insistito sul bisogno di un’Europa «che si rinnova e diventa protagonista», sottolineando che non è il tempo di pensare «di essere in guerra con la Russia» ma quello di «capire come noi possiamo risollevarci».
Secondo il ministro, l’Italia può svolgere un ruolo chiave in questo processo se il continente riuscirà a ritrovare «un’anima politica, quella di un continente dalle radici cristiane, dell’illuminismo, dei diritti, del rispetto per la persona». E ha respinto l’idea che il rafforzamento dell’Europa sia incompatibile con l’amore di patria: «Intanto provare amore di patria non significa essere nazionalisti. Tutti amiamo il nostro Paese, ma per renderlo più forte non possiamo isolarci».
Tajani ha attaccato «lo strapotere delle burocrazie di Bruxelles», sostenendo che per ogni norma introdotta «due vanno abolite». E ha criticato alcune scelte politiche dell’Unione, come «l’esagerazione sul Green Deal» che, a suo dire, avrebbe danneggiato il tessuto industriale europeo.
Sul fronte della guerra in Ucraina, ha confermato che «il decreto armi si farà, non c’è dubbio sulla nostra linea». Ha poi rilanciato la necessità di strumenti finanziari comuni, come eurobond dedicati alla difesa, ribadendo che «l’unità dell’Occidente è un patrimonio irrinunciabile». L’Italia, ha ricordato, non può permettersi di isolarsi: «Dei 623 miliardi di export delle nostre aziende, oltre 200 sono verso paesi europei. Isolarsi, dire no all’Europa, ci farebbe diventare residuali e irrilevanti».
Infine, il ministro ha rilanciato il tema della difesa comune europea: «Serve un esercito comune come punto d’arrivo, ma intanto è necessario un coordinamento per una difesa comune, anche attraverso una stretta collaborazione industriale con Usa e gli altri paesi della Nato e del G7». Un quadro, quello delineato da Tajani, che punta a rafforzare il ruolo dell’Europa proprio mentre Trump rimescola le carte della diplomazia internazionale.


