Cinque droni avvistati e poi presi di mira sopra la base nucleare francese di Île Longue: basta questo episodio, sullo sfondo delle crescenti tensioni tra Russia ed Europa alimentate dalla guerra in Ucraina, per mostrare come la guerra ibrida sia già una realtà operativa nel continente. Non si tratta di gesti isolati, ma di incursioni che sondano vulnerabilità, mettono alla prova le difese e colpiscono la percezione pubblica di sicurezza.

In questo clima, i due fatti del giorno — il sorvolo dei droni in Bretagna e le proteste giovanili in Germania contro la possibile reintroduzione della leva — appaiono diversi solo in superficie. Entrambi rivelano una stessa frattura: un’Europa sempre più esposta, militarmente e socialmente, agli effetti indiretti di un conflitto che non rimane più confinato al fronte ucraino.

Secondo la gendarmeria francese, i droni hanno sorvolato nella notte la base di Île Longue, nella rada di Brest, uno dei siti più sensibili dell’intero dispositivo di difesa europeo. È qui che sono dislocati i sottomarini nucleari lanciamissili balistici, il pilastro della dissuasione strategica francese. L’intercettazione immediata, con l’artiglieria marittima che ha aperto il fuoco utilizzando tiri anti-drone, conferma quanto l’evento sia stato percepito come una violazione grave di un perimetro che dovrebbe essere impenetrabile.

La base è protetta da circa centoventi gendarmi della marina, in coordinamento con i fucilieri della brigata di fanteria locale. Ospita quattro sottomarini, almeno uno dei quali costantemente in mare per garantire la continuità della dottrina nucleare francese. Eppure, nonostante questo apparato, droni di origine non ancora chiarita sono riusciti a sorvolare l’area. Preoccupa il fatto che non si tratti del primo episodio: tra il 17 e il 18 novembre era stato registrato un precedente sorvolo sospetto nella penisola di Crozon. La ripetizione suggerisce una strategia di pressione che ricorda da vicino le tattiche di disturbo già sperimentate in altri Paesi europei.

La guerra ibrida procede così: con piccoli colpi che non raggiungono la soglia dell’attacco formale ma logorano la fiducia nelle infrastrutture strategiche. In un contesto segnato da ostilità latenti, da operazioni cibernetiche e da campagne di influenza, anche pochi droni possono essere sufficienti a esporre una fragilità che Mosca, come altri attori ostili, non ignora.

Sul versante sociale, un’altra forma di pressione è esplosa in Germania. In oltre sessanta città, da Berlino a Monaco, da Amburgo a Lipsia, migliaia di studenti sono scesi in piazza contro la riforma del servizio militare proposta dal governo del cancelliere Friedrich Merz. Le manifestazioni, organizzate tramite uno sciopero scolastico, hanno portato in strada una generazione che teme di essere trascinata dentro una crescente militarizzazione dell’Europa.

La riforma prevede che tutti i giovani maschi al compimento dei diciotto anni debbano compilare un questionario e sottoporsi a una visita medica preliminare. Sulla carta il servizio resta volontario, ma la legge in discussione stabilisce che, se non dovessero arrivare abbastanza adesioni, potrebbe essere reintrodotta una leva obbligatoria tramite sorteggio. Una prospettiva che molti studenti vivono come un segnale drammatico dei tempi: non più la guerra lontana, ma la concreta possibilità di esserne coinvolti.

Gli slogan apparsi sulle piazze e rimbalzati sui social raccontano senza filtri questo timore: «Non vogliamo diventare carne da cannone»; «Non guarderemo in silenzio mentre noi e i nostri amici saremo sorteggiati per essere costretti a uccidere e morire». La mobilitazione è stata sostenuta da partiti come Die Linke e BSW, ma il nucleo emotivo resta profondamente generazionale: i ragazzi percepiscono la riforma come un passo indietro, un segnale che l’Europa si sta preparando non solo a difendersi, ma a vivere in un clima di mobilitazione permanente.

Le autorità hanno reagito minacciando sanzioni disciplinari per le assenze dalle lezioni, considerate ingiustificate. Ma tali interventi hanno avuto l’effetto opposto: hanno confermato agli studenti l’impressione di un irrigidimento politico, di un Paese che, pur senza dichiararlo apertamente, sta già interiorizzando la logica del conflitto.

Guardati insieme, i due eventi formano un quadro nitido: l’Europa non è più un continente solo spettatore della guerra, ma un territorio in cui il conflitto diffuso — fatto di pressioni militari, psicologiche, sociali — si manifesta a più livelli. I droni sopra un sito nucleare e i giovani nelle piazze contro la leva sono due facce della stessa realtà: un continente che sente, in modo crescente e tangibile, il peso di una guerra che non ha confini netti e che sta ridisegnando la percezione stessa di sicurezza. L’Europa, oggi, vive dentro questa tensione multiforme: e la guerra ibrida, silenziosa ma persistente, continua a bussare alle sue porte.