I minori detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (Ipm) si trovano in molti casi a vivere una doppia reclusione, fisica e psichica. Il rapporto “Bambini dietro le sbarre: la fabbrica di recidiva sul sistema italiano degli Istituti Penali per minorenni”, redatto da Radicali italiani in collaborazione con Nessuno tocchi Caino, delinea un quadro della detenzione minorile gettando luce sul crescente disagio psichico dei ragazzi ristretti e sull’aumento dell’uso degli psicofarmaci.

Come è noto, dal 2023 il Decreto Caivano ha introdotto una serie di novità normative relative ai minori, introducendo nuovi reati e aumentando i casi in cui è prevista la custodia cautelare.

L’effetto? Un boom di ingressi in carcere: a febbraio 2024 i minori presenti negli Ipm erano 532, con un aumento del 30 per cento sulla fine del 2022. Il numero ha continuato a crescere fino a raggiungere i 597 minori detenuti, determinando situazioni di sovraffollamento in 9 dei 17 istituti minorili presenti in Italia. La maggior parte dei ristetti si trova in regime di custodia cautelare.

Nel 2023 il 79,3% degli ingressi è dovuto a misure preventive, mentre solo il 5,7% è legato all’esecuzione della pena. Alle celle piene si aggiunge la crisi sanitaria e sociale. Cresce l’incidenza degli episodi di disagio psichico, degli atti di autolesionismo e dei tentativi di suicidio. Che in certi casi, purtroppo, riescono, com’è successo a Treviso dove un ragazzo si è impiccato usando un paio di jeans.

All’interno degli Ipm è considerevolmente aumentato l’utilizzo sia degli psicofarmaci a base di benzodiazepine come Diazepam e Lorazepam, sia degli antipsicotici, normalmente prescritti per il trattamento di patologie come la schizofrenia, e generalmente utilizzati per il controllo di comportamenti antisociali.

Nel biennio 2022-2024, in particolare, la spesa per l’acquisto di antipsicotici, secondo i dati riportati da Altreconomia, è considerevolmente aumentata: al Ferrante Aporti (Torino) si è registrato un aumento del 43%; a Casal di Marmo (Roma) del 32%; al Nisida (Napoli) l’incremento è decisamente più considerevole, pari al 237%, così come all’istituto femminile di Pontremoli a Massa Carrara, dove la spesa è cresciuta del 435%.

Nel rapporto viene sottolineato come numerosi ragazzi nel corso delle visite negli IPM presentassero chiari «segni dovuti ad atti di autolesionismo e sotto l’evidente effetto di sedativi». In particolare gli psicofarmaci sarebbero utilizzati allo scopo di sedare i detenuti e mantenere la calma nei reparti. «La cosa che ci ha colpito di più nel corso delle nostre visite è l’autolesionismo dei ragazzi, in alcuni casi anche molto piccoli – spiega Filippo Blengino, segretario di Radicali Italiani – c’è poi la difficoltà legata alla gestione dei ragazzi a cui, ci è sembrato di capire, vengono somministrati psicofarmaci con lo scopo di calmarli, in particolare benzodiazepine, come fossero acqua fresca.

Inoltre ci sono ragazzi con diagnosi psichiatriche e in certi casi anche con doppie diagnosi che dovrebbero essere seguiti in strutture diverse dal carcere. Ad esempio l’Ipm di Caltanisetta, per qualche ragione, ne riceve molti, ma il problema è che la copertura infermieristica non è su tutta la giornata, questo determina l’intermittenza della terapia alterandone gli effetti. E la situazione non fa che peggiorare, lo dicono i dati».

«L’attuale incapacità rieducativa del carcere è evidenziata dai numeri che mostrano come si sia superato ogni senso di ragionevolezza », dice Fabrizio Benzoni, parlamentare di Azione particolarmente attento al dossier. «In alcuni Ipm - aggiunge la situazione è aberrante: materassi per terra, stanze piccole e fatiscenti. Inoltre è stata segnalato più volte nel corso delle visite in questi istituti che tanti ragazzi versavano in stato catatonico. Bisogna capire che in carcere il tema delle dipendenze non riguarda più solo quelle legate all’utilizzo di sostanze stupefacenti ma anche agli psicofarmaci per cui ci sarebbe bisogno di una continua assistenza psicologica e psichiatrica, che manca».

«Quello che abbiamo riscontrato è una composizione della popolazione detenuta che fa poca differenza tra adulti e minori, c’è un’incidenza del disagio psichico e dell’uso di psicofarmaci come sostanze ricreative che negli ultimi 4/5 anni è diventata molto significativa – ribadisce Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino –. Negli istituti minorili la questione si pone anche come forma di controllo, cura e di trattamento che dovrebbe, non c’è dubbio, essere fatta fuori dal luogo di reclusione: dovrebbero occuparsene le comunità. Il problema è che è costoso trattare il disagio mentale, che sovente deriva da un disagio sociale, in luoghi più consoni a un minore. Perciò bisogna investire nelle comunità, dove i ragazzi possono coltivare rapporti umani, attraverso strumenti che possano formare lo spirito ed elevare la coscienza».