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Missile Tomahawk
Missili con una gittata fino a 1.600 chilometri, in grado di volare a bassa quota per sfuggire ai radar, capaci di essere reindirizzati dopo il lancio con precisione millimetrica. I Tomahawk, sviluppati dal Pentagono a partire dagli anni Settanta, tornano oggi al centro del dibattito militare internazionale per il loro potenziale impiego nello scenario del conflitto in Ucraina. I missili da crociera Tomahawk furono utilizzati per la prima volta durante la guerra del Golfo del 1991, diventando rapidamente uno dei simboli della potenza militare statunitense. In oltre quarant’anni di operazioni, gli Stati Uniti ne hanno lanciati più di 2.300 in missioni di combattimento.
Dotati di motore a turbina e piccole ali, i Tomahawk possono volare a centinaia di chilometri di distanza, muovendosi come un aereo e colpendo con grande precisione grazie a un sistema di autoguida satellitare.
Secondo fonti militari, la gittata massima raggiunge i 1.600 km, con una velocità pari al 70% di quella del suono. Ogni missile costa, nelle versioni più moderne, fino a 2,5 milioni di dollari.
Per essere lanciati, i Tomahawk necessitano di un contenitore Typhon, capace di ospitare quattro missili. Questo sistema è stato dispiegato per la prima volta nel 2019, dopo il ritiro dal Trattato INF, e successivamente testato nelle Filippine, in Australia e in Giappone.
Per la loro gittata, Mosca - distante circa 800 km da Kiev - sarebbe teoricamente raggiungibile, un’eventualità che aumenta gli interrogativi sulla stabilità strategica globale. Gli analisti sottolineano che un eventuale impiego di questi sistemi da parte dell’Ucraina rappresenterebbe una svolta geopolitica di ampia portata, capace di modificare i rapporti di forza e i meccanismi di deterrenza tra NATO e Russia.