L’Attrice israeliana Gal Godot e quello scozzese Gerard Butler, protagonisti del film fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia The Hand of Dante, non saranno presenti al Lido. Ufficialmente il forfait non dipende dall’appello contro la loro partecipazione diffuso dal collettivo Venice4Palestine con circa 1500 firme tra cui quelle di numerose star del cinema italiano. In realtà è almeno molto probabile che invece la scelta di declinare l'invito sia conseguenza diretta di quell'appello che del resto si inscrive in una lista ormai lunghissima di iniziative del genere: dai ristoranti che definiscono "sgraditi" i "sionisti", al già celebre video in cui un medico e un'infermiera si erano filmate mentre cestinavano prodotti medici israeliani in nome del boicottaggio, alla richiesta di escludere gli atleti israeliani dalle competizioni.

Esistono numerose ragioni per considerare questa pratica, che ormai sconfina quasi in una moda, controproducente. Fingere, per esempio, che in taluni casi - per fortuna pochi ma non per questo meno pericolosi - non esista un confine labile tra proteste e antisemitismo significa voler tenere gli occhi ben chiusi e infatti basta farsi un giro anche rapido e superficiale sui social per scoprire al di là di ogni possibile dubbio quanto spesso quel confine venga ormai varcato. C'è però un punto specifico, molto più determinante e importante, che andrebbe analizzato e chiarito: se e quanto queste manifestazioni aiutino affettivamente a frenare la violenza inaudita dell'offensiva israeliana e a erodere il consenso di cui ancora gode il governo criminale che tiene in pugno Israele. La risposta è secca: non solo questo modello di boicottaggio diffuso non serve a nulla ma è al contrario lecito domandarsi se non peggiori la situazione. All'origine dell'abbaglio c'è un'analisi che non si pone il problema di capire i sentimenti e le emozioni dei tanti israeliani che non sono allineati a quel governo. Secondo questa analisi lo Stato ebraico è per alcuni una sorta di potenza coloniale in sé, come il Congo di re Leopoldo del Belgio, secondo altri la longa manus di potenze coloniali come il Regno Unito prima e gli Usa ora.

In questo modo, riducendo la nascita di Israele a una coda del colonialismo classico e a un'avanguardia del neocolonialismo, si dimentica e si cancella un'esperienza ebraica millenaria che spiega invece l'ossessione israeliana per la sicurezza, confermata dallo stato di guerra permanente in cui si è trovato il Paese sin da prima di nascere. Si cancella anche la radicata convinzione di non poter mai fare definitivamente conto su nessuno se non sulla propria forza: gli amici di oggi possono sempre, come nella Spagna di Isabella o in Polonia, diventare all'improvviso i nemici più determinati.

A torto o a ragione le manifestazioni di odio per Israele tutta nel mondo, rafforzano inevitabilmente queste due convinzioni che affondano le radici in un passato sia remoto che recente.

Nella mente degli israeliani rischiano di ribadire che senza la forza militare, Israele sarebbe sempre a rischio. La destra israeliana, a partire da Netanyahu, non esita infatti a fare cinicamente uso di quelle manifestazioni nel mondo come carburante per la propria propaganda. Non si tratta di un fattore secondario ma al contrario essenziale.

La sola arma di cui dispongono i palestinesi è convincere quella parte della popolazione israeliana non accecata dal fanatismo nazionalista e/o integralista che è possibile una pace non a prezzo della sicurezza e che anzi la pace porterebbe e non sottrarrebbe sicurezza.

Viene azzardato spesso, sin dall'inizio della guerra di Gaza e delle manifestazioni di protesta in occidente, il parallelismo con la guerra del Vietnam. È vero che l'opinione pubblica fu in quella guerra determinante, ma lo fu quella del Paese direttamente coinvolto, dell'America, molto più di quella del resto del mondo. Senza l'appoggio di una parte maggioritaria della popolazione israeliana la tragedia del Medio Oriente non avrà fine. Manifestazioni come il boicottaggio di Venezia possono aiutare l'immagine delle star coinvolte, nella peggiore delle ipotesi, o soddisfare la loro coscienza, nella migliore. Ma certo non aiuta a convincere nemmeno un po' gli israeliani a scommettere sulla pace invece che sulla forza.