Nel linguaggio simbolico della Chiesa cattolica, il nome di un Papa è sempre una dichiarazione di intenti. Se ti chiami Francesco è un richiamo alla povertà e all’umiltà evangelica; Giovanni evoca il concilio e l’apertura; Benedetto la custodia della tradizione. Dopo oltre un secolo un Papa ha decide di chiamarsi Leone, nome che affonda le radici nell’antichità: prima di Robert Francis Prevost dodici Papi lo hanno scelto, il primo dei quali – Leone I Magno (440– 461) – fu proclamato dottore della Chiesa. Ma è l’eredità di Vincenzo Gioacchino Pecci (1810– 1903), Leone XIII, che probabilmente il pontefice americano vuole raccogliere. Un Papa che si presentò come uomo del dialogo, della ragione e della giustizia sociale in una Chiesa non più separata dal mondo.

Quando Leone XIII viene eletto nel 1878, la Chiesa proviene da uno dei periodi più drammatici della sua storia recente: la perdita dello Stato Pontificio e del potere temporale, la proclamazione di Roma capitale del Regno d’Italia, il ritiro intransigente del papato sotto Pio IX. Ma Pecci capisce che è giunto il momento di rientrare nel mondo, senza per questo rinunciare alla propria identità. La sua risposta è lucida e rivoluzionaria: costruire una nuova alleanza tra fede e ragione, tra Chiesa e modernità.

Nel 1879, con l’enciclica Aeterni Patris, rilancia il pensiero di San Tommaso d’Aquino, riconoscendo nella sua sintesi tra fede e filosofia una bussola affidabile per orientarsi nel tumulto ideologico dell’epoca, con le democrazie liberali ancora deboli e in via di formazione, messe all’angolo dal fragore delle guerre, dei nazionalismi, dei fascismi e dall’irruzione sulla scena politica del movimento operaio.

La teologia cattolica, sotto Leone XIII, smette di essere difensiva e torna a essere propositiva, capace di parlare il linguaggio della cultura contemporanea, di confrontarsi con altri mondi. Detto il Papa delle encicliche ( 86), la più celebre e influente è stata senza dubbio Rerum Novarum, del 1891. Di fronte alle tensioni tra capitalismo liberale e socialismo rivoluzionario, Leone XIII offre una terza via. Pur condannando la lotta di classe e le sue derive violente foriere di guerre civili e di comunità lacerate, il Vaticano ora riconosce i diritti dei lavoratori, la legittimità dei sindacati, la centralità del salario giusto, la condanna dello sfruttamento, senza mai rinnegare il principio della proprietà privata e della libera iniziativa. È la nascita della Dottrina Sociale della Chiesa (anche se la definizione viene data da Pio XII nel 1941), una tradizione “umanistica” che oggi rappresenta uno dei pilastri del cattolicesimo globale, la sua spina dorsale nei territori, il combustibile del suo associazionismo.

Se questa è l’ispirazione del primo Papa statunitense, vorrà dire che in parte proseguirà la strada tracciata da Bergoglio, ovvero quella di una Chiesa vicina agli ultimi, ai poveri, ai migranti, agli emarginati. Ma c’è bisogno anche di una Chiesa “politica”, immersa nel suo tempo e pronta a raccogliere le grandi sfide globali, a difendere la trincea della democrazia in un mondo assediato dalle guerre e governato da troppi satrapi e autocrati.