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Associated Press/LaPresse
In questi tempi turbolenti in cui viene scardinato ogni ordine delle umane cose, con l’elezione al Sacro Soglio del cardinale Robert Prevost un’istituzione millenaria come la Chiesa si è incaricata di confermare invece l’andamento normale: chi entra Papa in conclave ne esce cardinale.
Ma nonostante le apparenze, quella di Robert Prevost non è una scelta che spariglia, non è il “Papa americano” di un film di Sorrentino, non è l’impensabile incuneato nell’immutabile. È una scelta di piena continuità con il magistero di Bergoglio, come si comprende dalle prime parole pronunciate dal balcone di San Pietro, con il ripetuto richiamo alla pace che tanto stava a cuore a Papa Francesco, con il nominare il predecessore ripetutamente.
Con il presentarsi come “un costruttore di ponti”. E come è chiaro soprattutto nella scelta del nome: Benedetto XIV, dopo quel XIII che fu il pontefice dell’enciclica del cambiamento Rerum Novarum, il Papa attraverso il quale a fine Ottocento e in piena seconda rivoluzione industriale la Chiesa irruppe nel sociale. E schierandosi dalla parte dei lavoratori.
Sessantanove anni, americano di Chicago ma con antenati italiani e ottima conoscenza della lingua, ordinato sacerdote nei primi anni Ottanta da un’esponente progressista dell’allora Curia, appartenente all’ordine agostiniano - «Sono un figlio di Sant’Agostino» ha detto tra le prime cose - ma con studi teologici dai domenicani dell’Angelicum, oltre alle lauree americane in matematica e filosofia, Prevost è vissuto per vent’anni in America Latina. Si tratta dunque di un Papa più latino-americano che non strettamente statunitense, in particolare per i 10 trascorsi nel difficile Perù di Fujimori e Sendero Luminoso, dove fu in stretto contatto con il teorico della teologia della liberazione Gustavo Gutierrez.
E fu proprio durante il suo viaggio in Perù del 2018 che Bergoglio incontrò Prevost, decidendo di affidargli la guida del dicastero dei vescovi, chiamandolo a Roma, dopo avergli lui stesso affidato solo pochi anni prima delicate missioni di mediazione politica proprio in Perù, e col ruolo di vicepresidente della locale conferenza episcopale. Un ruolo di snodo, quello poi ricoperto da Prevost nella Curia Romana, e cruciale nell’organizzazione della Santa Sede, perché esercitando quell’incarico ha di fatto selezionato tutti i (moltissimi) vescovi che Bergoglio ha nominato dal 2023 in avanti.
E questo spiega in parte anche la rapidità della sua elezione al Sacro Soglio, avvenuta solo al quarto scrutinio come accadde solo a Papa Luciani e a Ratzinger: in un conclave di 133 cardinali, la gran parte dei quali incontrava i propri colleghi per la prima volta, Robert Prevost era nella Cappella Sistina forse l’unico ben noto alla stragrande maggioranza dei votanti. La sua elezione ha permesso alla Chiesa di mostrare al mondo di essere unità, di non voler certo sconfessare l’operato e il magistero di Papa Francesco, e conferma che il profilo di Prevost è gradito sia ai progressisti che ai conservatori. Smentisce anche un altro dei refrain circolati in questi giorni: è diventato Papa nonostante abbia solo 69 anni. Un “Papa giovane”. Anche in questo caso, e nonostante lo raccontino come un uomo schivo ma molto ironico, un Papa giovane non del genere visto nei film di Sorrentino.