Putin continua a far piovere fuoco sull’Ucraina. La Russia nella notte tra giovedì e venerdì ha sferrato un attacco su Kyiv, con l’utilizzo combinato di 539 droni e 11 missili, causando almeno 23 feriti e facendo scaturire numerosi incendi in diverse zone della città. La contraerea ucraina è riuscita a intercettare 478 bersagli ma l’attacco ha saturato la capacità della difesa aerea di Kyiv, riuscendo ad andare a segno.

«Al momento sono ancora in corso le operazioni di spegnimento degli incendi e di rimozione delle macerie dopo l’ennesimo attacco russo», ha scritto Zelensky su Telegram, «È stato uno degli attacchi aerei più massicci, dimostrativamente ampio e cinico. In totale sono state utilizzate 550 armi, di cui almeno 330 erano i droni russo-iraniani “Shahed”, oltre a missili, compresi quelli balistici». Il presidente ucraino ieri ha avuto una conversazione telefonica con Trump, durata circa 40 minuti, definita da Zelensky «molto fruttuosa».

«Trump è molto ben informato e lo ringrazio per la sua attenzione all’Ucraina», ha scritto Zelensky in un post su X. «Abbiamo parlato delle opportunità nella difesa aerea e abbiamo concordato che lavoreremo insieme per rafforzare la protezione dei nostri cieli. Siamo grati per tutto il supporto fornito - ha proseguito Zelensky -. Siamo pronti per progetti diretti con gli Stati Uniti e crediamo che questo sia di fondamentale importanza per la sicurezza, soprattutto quando si tratta di droni e tecnologie correlate». Anche Giorgia Meloni ieri ha telefonato al presidente Usa: «Ho sentito Trump e ho parlato di Ucraina e dazi», ha detto la premier.

Secondo Marco Di Liddo, direttore del Centro studi internazionali, «la telefonata tra Trump e Putin non ha cambiato nulla, anzi secondo il Cremlino non sussistono i margini per una soluzione diplomatica del conflitto. Il messaggio inequivocabile dei russi è che continueranno il confronto militare fino a che non saranno riconosciute loro richieste», prosegue l’esperto. «Gli Stati Uniti, da quando Trump è in carica, hanno provato in tutti i modi possibili a negoziare, riconoscendo anche alcune preoccupazioni russe sulla sicurezza, pur nella consapevolezza che l’aggressione non può essere accettata.

I russi invece - continua - hanno fatto concessioni minime. Intendono trattare con i soli ucraini e non vogliono che paesi terzi si siedano al tavolo negoziale, temono infatti che non possa esserci un mediatore realmente imparziale, se non forse la Turchia». Il conflitto «è una gara di resistenza tra l’Ucraina, i suoi sostenitori e la Russia, cercando di contenere i rischi escalatori. Un elemento di novità è la telefonata tra Trump e Zelensky. A causa dell’assottigliamento degli stock militari nazionali, gli Usa hanno deciso di non inviare alcuni sistemi d’arma a Kiev. Senza i sistemi americani la capacità ucraina di difendersi e ribattere alle azioni russe è piuttosto limitata. La telefonata è servita per rassicurare Zelensky, ma l’ultima decisione è la sospensione agli aiuti».

L’accordo sulle terre rare avrebbe dovuto garantire agli ucraini di non vedersi negare gli approvvigionamenti militari, eppure è arrivata la decisione di limitarli. «L’accordo sulle terre rare è una grande ipocrisia americana», spiega Di Liddo. «La firma è stata legata all’invio delle armi, ma modifiche migliorative in questo senso non ce ne sono. Il problema è che bisogna mettere le imprese americane in condizione di lavorare sul territorio. Situazione impossibile al momento - aggiunge -, sia per mancanza di forza lavoro maschile, impegnata al fronte, sia per il pericolo di bombardamenti.

C’è un altro problema di fondo: chi investe in un Paese dal futuro politico fortemente incerto? L’accordo era destinato ad essere zoppo, oggi dimostra tutti i suoi limiti e non fa bene all’immagine statunitense». Zelensky giovedì ha annunciato che l’Ucraina inizierà una collaborazione con l’azienda americana Swift Beat per la produzione di droni intercettori e ieri, a seguito della telefonata con Trump, ha ribadito l’intenzione di collaborare con gli Usa in tal senso. «Gli Stati Uniti tendenzialmente preferiscono vendere sistemi “chiavi in mano”, però l’Ucraina rappresenta un “laboratorio” per l’industria della difesa, soprattutto per lo sviluppo di droni e della guerra elettromagnetica come nessun altro posto al mondo.

Il grande vantaggio di fare accordi con l’industria ucraina in questo momento è la possibilità di sperimentare direttamente sul campo le soluzioni proposte - continua - e l’Ucraina addirittura vende in maniera attiva il fatto di poter testare direttamente sul campo innovazioni e prodotti, in un ciclo continuo di ricerca e sviluppo che comprende anche l’applicazione diretta. Qualcosa che nell’industria moderna non ha precedenti». Nonostante gli annunci di voler perseguire la politica America First, però, gli «Stati Uniti, qualsiasi cosa accada, non devono uscire dal conflitto in Ucraina con un’immagine deteriorata - conclude Di Liddo -. Per questo insistono sul negoziato: gli permetterebbe di sfilarsi senza compromettere la propria immagine, cosa che avrebbe forti ripercussioni a livello globale».