Il bombardamento del consolato iraniano a Damasco in cui hanno perso la vita 13 persone, tra cui il comandante delle brigate al Qods Mohamed Reza Zahedi, non è stato ufficialmente rivendicato da Israele.

Così impone la prassi in oltre mezzo secolo di omicidi mirati e raid sferrati in territorio straniero, ma la firma al bombardamento di Pasquetta è chiaramente sottintesa, come lo è stata quella dello scorso 2 gennaio con l’uccisione a Beirut del dirigente politico di Hamas Saleh al Arouri.

Teheran promette una risposta dura, minaccia lo Stato ebraico affermando che la vendetta «arriverà al momento giusto», con ogni probabilità per mano dei suoi proxy regionali come Hezbollah e gli Houti yemeniti. Nonostante l’umiliazione, difficilmente arriverà a un conflitto militare diretto con Tel Aviv, concretizzando lo scenario da incubo che molti media occidentali evocano in queste ore con l’intero Medio Oriente in fiamme.

Non è la prima volta che Israele colpisce obiettivi iraniani all’estero, in Siria, in Libano, nel nord dell’Iraq e persino nello stesso Iran come per gli attacchi agli impianti di arricchimento dell’Uranio a Natanz nel 2021. Nessuno di questi è mai stato rivendicato.

Il raid di Damasco, come tutte le operazioni all’estero compiute dalle forze armate o dai servizi segreti di Tel Aviv, fa parte di una strategia che data almeno dall’inizio degli anni 70 e che ogni governo israeliano si è riservato di mettere in atto.

Evidentemente il nome di Zahedi era in cima alla lista di The bank, ovvero l’archivio in cui finiscono i nomi dei nemici di Israele considerati “giustiziabili”: quando vengono segnati con una “x” si dà il via libera all’omicidio mirato. È uno dei sistemi più oliati con cui gli apparati di sicurezza e intelligence dello Stato ebraico conducono una guerra parallela, quasi sempre segreta, contro i loro storici avversari: prima l’Olp di Yasser Arafat, il Fplp di George Habash, poi negli ultimi decenni i membri del Jihad islamico e infine le bandiere verdi di Hamas. Sono decine i dirigenti politici e militari delle organizzazioni armate palestinesi a venire eliminati dagli agenti del Mossad e dello Shin Bet o direttamente con i cacciabombardieri di Tshaal.

Tutto risale al 1972 durante Giochi olimpici di Monaco in Germania con il massacro di 11 atleti israeliani da parte di Settembre nero, un’organizzazione terroristica di fedayn palestinesi. L’attentato provoca un’ondata di choc in Israele che reagisce bombardando alcune basi dell’Olp in Siria e Libano, ma il vero “salto di qualità” viene annunciato dalla premier Golda Meir in un celebre discorso alla Knesset: «Ovunque si stia preparando un complotto, in qualsiasi luogo in cui si preparano le persone a uccidere ebrei, israeliani – dappertutto ebrei – è là che ci impegniamo a colpirli».

In altre parole ci si riserva il diritto di colpire in ogni parte del mondo chiunque cospiri per assassinare ebrei. Fino ad allora era una pratica limitata a operazioni di spionaggio in paesi comunque ostili allo Stato ebraico, dalla strage di Monaco gli 007 di Tel Aviv saranno autorizzati a compiere omicidi mirati anche nelle democrazie occidentali, questione di sicurezza ma anche di vendetta, talvolta scomposta e feroce, nell’idea di far provare alle vittime «lo stesso terrore» che hanno causato.

Come accadde ad Abu Yusuf, tra i comandanti di Settembre nero, crivellato di colpi assieme alla moglie nel 1973 a Beirut mentre riposava nel suo letto. Qualche mese prima a Roma fu ucciso con un colpo di pistola Wael Zuaiter, rappresentante dell’Olp in Italia sospettato di aver dato aiuto a Settembre nero. Poi toccò a Mahmmud Hashiri, coordinatore del commando di Monaco, eliminato con una carica esplosiva piazzata sotto il suo apparecchio telefonico. Per far fuori la “mente” di Settembre nero, Abu jihad, il Mossad ci ha messo più di 15 anni: l’uomo, che nel frattempo era diventato il numero due di Arafat, viene assassinato nel suo appartamento di Tunisi davanti la moglie e due figli piccoli nell’aprile 1988. Sul suo cadavere oltre cento proiettili, esplosi da tutti i membri del commando israeliano.

Con la fondazione di Hamas nel 1987 e la decisione dell’Olp e Fatah di abbandonare gli attentati terroristi per provare a entrare nel processo di pace, gli obiettivi di Israele slittano verso i leader del movimento islamista che persegue per statuto la distruzione dello Stato ebraico. Due sono le operazioni i “eccellenti” tra le decine di omicidi di dirigenti di Hamas. Lo sceicco cieco e paralitico Ahmed Yassin, ijntransigente fondatore del movimento, sfuggito a diversi attentati e polverizzato da un missile il 22 marzo 2004 mentre usciva da una moschea di Gaza. Meno di un mese dopo, il 17 aprile, tocca al successore di Yassin, Abd al-Aziz al-Rantissi: la sua auto è colpita da un razzo mntre stava viaggiando all’interno della Sriscia. Muiono il figlio di 27 anni e la guardia del corpo. Rantissi si spegne poco dopo in ospedale per le ferite riportate.