«Se non puoi andare in America, vieni al McDonalds a Mosca», recitava uno slogan andato in onda oltre trentanni fa sulla tv di Stato in Unione Sovietica. Reclamizzava lapertura, in piazza Pushkin a Mosca, del primo punto vendita del colosso americano del fast food, che avvenne il 31 gennaio 1990. E fu un evento che fece grande scalpore, per il suo contenuto simbolico, rappresentando lemblema dellapertura alla cultura capitalista da parte del blocco sovietico. Una novità resa possibile grazie alla politica di riforme avviata in quegli anni da Michail Gorbaciov. Allepoca, il Muro era caduto e i russi iniziavano ad ammirare le «novità» occidentali ma le infrastrutture erano quelle e lofferta nei ristoranti restava assai scarsa. Quando aprì McDonalds, dalle 4 di mattina, si misero in fila per poter addentare un hamburger made in Occidente. Ma ora, dopo 30 anni di attività, il celebre marchio del fast food ha annunciato che venderà tutte le sue attività in Russia. Aprire un ristorante nella culla della cultura sovietica sembrava unidea azzardata ma lintuito dellimprenditore canadese George Cohon gli dette ragione. Era già a capo di McDonalds Canada e iniziò a pensare a questo progetto nel lontano 1975 in occasione di un incontro con alcuni funzionari sovietici alle Olimpiadi di Montreal. Finalmente, con la perestroijka, realizzò il suo sogno: con un investimento di50 milioni di dollari, inaugurò il McDonalds più grande al mondo visto che contava 900 coperti. Vennero inviati da tutto il mondo per sancire quella che sembrava una data storica. La pietanza più richiesta era, ca vans sa dire, il menù BolshoiMak che allepoca costava 7-8 rubli, circa metà dello stipendio medio giornaliero di un russo. Per capire il significato della presenza di McDonalds in Russia, basti pensare che quando nel 1993 aprì il secondo McDonalds a Mosca, allinaugurazione partecipò anche il presidente russo Boris Eltsin. Poi a mano a mano, McDonalds si espanse in Russia fino a contare 847 punti vendita dei qualil84% di proprietà, il restante in franchising. A marzo, inseguito allinvasione ucraina, la più grande catena di fastfood del mondo aveva deciso di chiudere temporaneamente i suoi ristoranti, compresa liconica sede di Piazza Pushkin, con un impatto di 50 milioni di dollari al mese ma erano rimasti aperti i punti vendita di proprietà di affiliati, oltre 100 in tutto il Paese. Oggi lannuncio formale: il colosso Usa della ristorazione intende vendere ad un acquirente locale tutti i suoi punti vendita, senza luso del nome, logo, marchio e menù. Ma cercherà di ottenere che il futuro impiego dei 62.000 lavoratori sia incluso nei termini dellaccordo. La società prevede un addebito da 1,2 a 1,4 miliardi di dollari per coprirei costi di trasloco.