Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha giocato il suo ultimo asso a Washington D. C. nella serata del 21 dicembre ( quando era piena notte in Italia), rivolgendosi al congresso statunitense, con un discorso che è stato giudicato “emotional” dal New York Times.

Mai come in questa occasione, l’esperienza di attore, che è stato il trampolino di lancio della carriera politica di Zelensky, ha dato i suoi frutti, essendo riuscito il presidente ucraino a toccare le corde dell’anima americana.

Infatti, il leader di Kiev, questa volta esprimendosi in Inglese (a differenza delle precedenti apparizioni via web, in cui parlava in Ucraino), ha in primo luogo ringraziato di cuore il popolo americano per il supporto assicurato finora al proprio paese (circostanza particolarmente gradita al di là dell’Atlantico, visto che gli alleati europei raramente usano la parola “grazie”), e sapendo dei dubbi di diversi esponenti del partito repubblicano, ha promesso quello che tutti volevano sentire, ossia l’impegno dell’Ucraina a sconfiggere la Russia, che è diventata l’antagonista numero 1 degli Usa (più per volere di Putin, che per decisione americana, in verità).

Inoltre, riconoscendo agli Usa il merito delle vittorie finora ottenute sul campo dalle forze armate ucraine, e il ruolo di leadership nella scena internazionale ( pur citando anche l’Europa), Zelensky ha probabilmente messo un’ipoteca sui prossimi aiuti, in quanto sarà ora difficile agli esponenti del GOP (Great Old Party, sigla con cui sono indicati i repubblicani) rifiutarli, una volta che avranno la maggioranza nel House of Representatives (equivalente alla nostra Camera dei Deputati) a partire da gennaio.

Tanto più che, ancora una volta, Zelensky ha rilanciato quello che è stato, fin dall’inizio dell’aggressione della Federazione Russa, il refrain di maggior successo inventato a Kiev, ossia che la guerra condotta dall’Ucraina non è solo per sé stessa, bensì per tutto il mondo libero e democratico. Non solo, ma per convincere i più riluttanti uditori del suo discorso, Zelensky ha ricordato che molti attacchi avvengono ormai con i droni iraniani, e che, quindi, difendere l’Ucraina, significa difendersi dall’Iran, che insieme alla Russia (che manda al fronte banditi e assassini, come ricordato dal presidente ucraino), costituisce ormai la principale coppia di paesi terroristici.

Allo scopo di dare il colpo di grazia a qualsiasi ulteriore perplessità, il presidente ucraino ha ricordato che gli aiuti economici americani diretti all’Ucraina non sono “charity”, ma un investimento sulla sicurezza globale. Insomma, Zelensky ha giocato tutte le sue carte, e tutto lascia immaginare con successo.

Ma come è stato preso in Russia l’incontro tra Biden e Zelensky a Washington D. C., e il conseguente impegno americano a sostenere ad oltranza, con armi sempre più avanzate, l’Ucraina?

Va detto in primo luogo che, stranamente i media di Mosca hanno dato notevole risalto all’evento, sebbene, da fine settembre, ossia dopo l’avvio della mobilizzazione, navigando nei siti russi di informazioni ( in particolare dei giornali), si sono trovati sempre più spesso articoli più aderenti alla realtà vera, piuttosto che a quella virtuale voluta da Putin.

Innanzitutto, non si è nascosta né la dimensione (1,85 miliardi di dollari), né la natura ( sistema d’arma missilistico Patriot) dell’aiuto promesso da Biden a Zelensky. Ovviamente i commenti dei politici russi riportati negli articoli (come quello di Izvestia del 22 dicembre) sono all’insegna della preoccupazione, perché il binomio armi americane e determinazione dell’esercito ucraino diventa un’equazione difficilmente risolvibile per Putin e compagnia.

D’altronde, l’accoglienza offerta al presidente ucraino non lascia molto spazio ad interpretazioni ottimistiche (per la Russia) circa le intenzioni degli Usa verso il neo alleato ucraino, e questo viene chiaramente riconosciuto nella stampa russa.

Per consolarsi, i politici russi si chiedono per quanti decenni gli ucraini dovranno ripagare i debiti contratti con l’America, mentre gli esperti militari giurano che i missili Patriot non cambieranno l’esito del conflitto, sia perché ne servirebbero molti, e quindi un elevato numero di addetti perfettamente formati, sia perché i missili russi S- 300 e S- 400 sono superiori, e infine, perché i Patriot non sono in grado di intercettare i missili ipersonici russi Dagger, Zircon, Iskander- M.