Israele è pronto ad aprire le porte dell’inferno. È quanto dichiarato dal ministro della difesa israeliano, Israel Katz, che ha lanciato un monito ad Hamas perchè accetti le condizioni poste dalo Stato ebraico per la tregua, deponga le armi, rilasci gli ostaggi ancora in vita e restituisca i corpi di quelli deceduti. Katz ha detto che «presto le porte dell’inferno si apriranno sulle teste degli assassini e degli stupratori di Hamas a Gaza, finchè non accetteranno le condizioni israeliane per porre fine alla guerra, in primo luogo il rilascio di tutti gli ostaggi e il disarmo». «Se non accetteranno», ha aggiunto Katz, «Gaza City, la capitale di Hamas, diventerà come Rafah e Beit Hanoun. Esattamente come ho promesso, così sarà».

Lunedì i funzionari di Hamas hanno accettato la proposta avanzata dai mediatori di Egitto e Qatar, per un cessate il fuoco di 60 giorni e il rilascio di 10 ostaggi ancora in vita, i servizi israeliani indicano che, secondo le loro stime, solo 20 dei 50 ostaggi sarebbero ancora in vita. Il governo Netanyahu non si è espresso a riguardo ma sembrerebbe aver opposto un rifiuto indiretto alla proposta con le parole dello stesso premier che ha «ordinato di avviare negoziati immediati per il rilascio di tutti i nostri ostaggi». «Siamo nella fase decisiva», ha affermato Netanyahu giovedì, «Sono venuto oggi alla Divisione di Gaza per approvare i piani presentati dalle Idf e dal ministro della Difesa per la conquista di Gaza City e la sconfitta di Hamas. Questi due obiettivi, la sconfitta di Hamas e il rilascio di tutti i nostri ostaggi, vanno di pari passo». L’ufficio di Netanyahu ha però comunicato al Times of Israel che «in questa fase» non ci sono piani per inviare una delegazione israeliana in Qatar o in Egitto. Non è chiaro quindi a chi il premier israeliano avrebbe dato istruzioni di avviare nuovi negoziati per il rilascio degli ostaggi.

I colloqui per trovare un nuovo accordo di cessate il fuoco, dopo quello raggiunto a gennaio su pressione degli Stati Uniti e violato unilateralmente da Israele a marzo, si sono svolti a luglio ma, nonostante primi segnali promettenti, si sono bruscamente interrotti con il ritiro delle delegazioni israeliana e statunitense alla fine del mese scorso.

Intanto i soldati israeliani si sono lanciati all’assalto di Gaza City dove al momento sono stati uccisi 36 palestinesi, di cui 12 in un raid aereo che ha colpito una scuola dove era stato allestito un rifugio per gli sfollati nel quartiere Sheikh Radwan. Secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico The Guardian, a seguito di un’inchiesta condotta in collaborazione con +972 Magazine e il giornale Local Call, i dati provenienti da un database riservato dell’intelligence militare israeliana indicano che l’83% delle persone uccise a Gaza sono civili. In base ai risultati dell’inchiesta a maggio, 19esimo mese di guerra, i funzionari dell’intelligence israeliana hanno registrato 8.900 combattenti di Hamas e della Jihad islamica palestinese come morti o «probabilmente morti». Al tempo, secondo i dati delle autorità sanitarie di Gaza il bilancio era di 53mila palestinesi uccisi, sia combattenti che civili, dagli attacchi israeliani. «I combattenti identificati nel database dell’intelligence militare israeliana rappresentavano solo il 17% del totale, il che indica che l’83% dei morti erano civili», scrive il Guardian, sottolineando che «questo rapporto tra civili e combattenti» nel numero dei morti, sottolineando come sia «estremamente elevato per la guerra moderna, anche se confrontato con conflitti noti per uccisioni indiscriminate, come le guerre civili in Siria e Sudan»

Katz vuole aprirne le porte ma l’inferno a Gaza City c’è già. Ieri l’Onu dichiarato ufficialmente la carestia a Gaza, la prima del Medio Oriente. Secondo il rapporto redatto dall’Ipc (Integrated Food Security Phase Classification Initiative) 500mila persone nel governatorato di Gaza, che copre circa il 20% della Striscia, versano in «condizioni catastrofiche, caratterizzate da fame, miseria e morte».Mentre altri 1,4 milioni di palestinesi si trovano in una situazione molto grave. La carestia potrebbe estendersi entro la fine settembre a Deir al-Balah, nel centro della Striscia, e a Khan Yunis, facendo così salire a 641mila le persone le persone colpite. Gravissima la situazione dei minori, nel rapporto si prevede che «almeno 132.000 bimbi sotto i cinque anni» soffriranno di malnutrizione acuta entro giugno 2026. La crisi alimentare è stata aggravata dal blocco israeliano sugli aiuti umanitari seguito alla ripresa dei combattimenti a marzo. Le autorità sanitarie locali di Gaza hanno segnalato un aumento dei decessi causati da malnutrizione.

Il rapporto dell’Onu certifica inoltre che la carestia si sarebbe potuta evitare se alle Nazioni Unite non fosse stato impedito in maniera sistematica di portare cibo all’interno della Striscia. «È una carestia che avremmo potuto evitare se ci fosse stato permesso», ha dichiarato il responsabile degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, «Eppure, il cibo si accumula alle frontiere a causa dell’ostruzionismo sistematico da parte di Israele». L’utilizzo della fame come arma è «un crimine di guerra» ha aggiunto Volker Turk, alto commissario per i diritti umani e il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto un cessate il fuoco, sottolineando che «non si può permettere che questa situazione continui impunemente». Israele ha reagito duramente alla pubblicazione del rapporto definito «una menzogna assoluta». L’ufficio di Netanyahu ha scritto in un post su X che «Israele ha una politica di prevenzione della fame, e non per provocarla». «Dall’inizio della guerra, Israele ha consentito l’ingresso di due milioni di tonnellate di aiuti nella Striscia di Gaza, oltre una tonnellata di aiuti a persona», prosegue il post, «Israele continuerà ad agire responsabilmente, assicurando che gli aiuti raggiungano i civili di Gaza e distruggendo al contempo la macchina del terrore di Hamas. La campagna di fame orchestrata da Hamas non ci impedirà di liberare i nostri ostaggi ed eliminare Hamas».