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Esercito di Israele pronto ad occupare Gaza
Il capo di stato maggiore israeliano Eyal Zamir alla fine ha approvato il piano di Benjamin Netanyahu per l’occupazione militare di Gaza City. La decisione, maturata dopo settimane di scontri durissimi tra i vertici dell’Idf e l’ultradestra dei ministri Gvir e Smotrich, dà il via libera al controllo diretto delle aree più popolose della Striscia da parte dell’esercito che istituirà decine di checkpoint ed evacuerà almeno un milione di palestinesi dalle zone di combattimento. L’obiettivo è l’eliminazione definitiva delle milizie di Hamas. Zamir era contrario a un’operazione piena di incognite, che mette a rischio la vita degli ostaggi e degli stessi militari ma la pressione politica del gabinetto di guerra ha prevalso ancora una volta.
In parallelo all’offensiva militare nelle ultime ore sono spuntate alcune ipotesi sul futuro governo di Gaza che, secondo l’ultimo punto del piano Netanyahu, dovrebbe finire nelle mani di imprecisate «forze arabe». E, con insistenza, è iniziato a circolare un nome, quello di Samir Hulileh, economista, imprenditore ed ex funzionario dell’Autorità Palestinese, oggi a capo della holding PADICO, gradito sia a Israele che alla Lega araba. Da un po’ di tempo Hulileh si muove per accreditarsi come possibile figura di transizione per amministrare la Striscia del dopo- Hamas.
Il suo principale sponsor presso l’esecutivo di Tel Aviv si chiama Ari Ben- Menashe, un ex ufficiale dell’intelligence israeliana nato in Iran con un passato fitto di incarichi e di ombre, incluso il coinvolgimento in operazioni di lobbying a cavallo tra governi, società private e regimi autoritari ( fu coinvolto nello scandalo Iran- Contras). Ma dietro la candidatura di Hulileh c’è anche il sostegno più o meno occulto degli Usa di Trump. Documenti depositati negli Stati Uniti rivelano un contratto da 300mila dollari tra la società di Ben- Menashe e un’entità legata a Hulileh, con il compito di promuovere quest’ultimo presso governi occidentali e organizzazioni internazionali. Di questa somma, 130 000 dollari risultano già versati, senza chiarezza sulla provenienza dei fondi.
Il piano che Hulileh avrebbe esposto in incontri riservati e colloqui con diplomatici americani prevede un cessate il fuoco immediato, l’apertura di quattro o cinque valichi commerciali sotto supervisione internazionale, l’ingresso quotidiano di centinaia di convogli di aiuti e un massiccio programma di ricostruzione stimato in 53 miliardi di dollari. Naturalmente, a gestire il carrozzone degli aiuti, rimarrebbe in prima linea la Gaza Humanitarian Foundation ( GHF), la controversa ONG statunitense vicina alla destra evangelica già attiva da alcuni mesi nella Striscia.
L’idea è finanziare il progetto principalmente con capitali dei Paesi del Golfo, garantendo un impegno sostanziale anche da parte di Stati Uniti ed Europa. L’amministrazione della Striscia, nelle intenzioni, verrebbe affidata a una struttura tecnica sotto l’ombrello della Lega Araba, senza il coinvolgimento diretto né di Hamas né dell’attuale Autorità Palestinese.
È proprio questa esclusione a generare le critiche più aspre da Ramallah: funzionari vicini al vecchio presidente dell’Anp Mahmoud Abbas hanno denunciato una manovra parallela, non autorizzata, che rischia di frantumare ulteriormente la già esangue rappresentanza palestinese. Una manovra essenzialmente lobbistica che alimenta il sospetto di interessi esterni pronti a modellare Gaza secondo equilibri graditi a Israele e agli Stati del Golfo.
Su un binario più istituzionale si sta muovendo anche l’Egitto. Il Cairo ha presentato un piano per un’amministrazione provvisoria di tecnocrati palestinesi, sostenuta da un consorzio di donatori e agenzie internazionali, con garanzie per il ritorno di tutti gli sfollati. Il presidente Abbas ha espresso sostegno all’iniziativa egiziana, considerandola una soluzione più vicina agli interessi dei palestinesi, Il risultato è un mosaico di proposte e manovre che, più che delineare una strategia unitaria, rivelaa la frammentazione e l’incertezza totale del quadro palestinese.
Da un lato l’occupazione militare israeliana, che rischia di protrarsi senza limiti di tempo stabiliti; dall’altro l’ipotesi di una Striscia di Gaza eterodiretta, guidata da figure ambigue come Hulileh, sostenute da reti di lobbying internazionali dai contorni nebbiosi; e infine il laboriso progetto multilaterale egiziano che si muove dentro i canali diplomatici tradizionali e che avrebbe il sostegno dell’Unione europea.