Capelli biondi e niente velo: si chiamava
Hadis Najafi, aveva appena 20 anni ed è stata uccisa dalle
forze di sicurezza iraniane, ieri sera, durante le proteste nella città di Karaj, vicino a Teheran. Secondo vari account Twitter, la ragazza è stata raggiunta da sei colpi di proiettile che l’hanno raggiunto al petto, in viso e al collo. La giovane era diventata una delle ragazze
simbolo delle proteste esplose dopo la morte di Mahsa Armini: quando affrontava la polizia, era senza velo perché contraria all’hijab obbligatorio e alle leggi discriminatorie della Repubblica islamica. In un video che era circolato sui social, si vedeva chiaramente la giovane legarsi i capelli con l’elastico prima di unirsi ai manifestanti. Un gesto comune a tante ragazze occidentali, fatto ogni giorno, ma che in Iran si può pagare con la vita.
Proteste in Iran, è caccia al «Maradona d’Asia»
Nel frattempo i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione (Irgc), stanno danno la caccia a un personaggio popolarissimo del calcio, un’icona del mondo sportivo, tanto da essere soprannominato il
«Maradona d’Asia», che è schierato con le proteste in corso nel Paese. L’agenzia di stampa Fars, collegata all’Irgc, lo ha aspramente criticato e lo ha definito «il nuovo leader dell’opposizione».
Ali Karimi, ex capitano della nazionale di calcio iraniana, ha utilizzato la sua significativa base di sostenitori online per sensibilizzare alla causa dei migliaia di manifestanti che da giorni sono in piazza, infuriati per la morte, la scorsa settimana, di Mahsa Amini. Ora allenatore, Karimi, che ha giocato anche per il Bayern Monaco e lo Schalke 04 nella Bundesliga tra il 2005 e il 2010, posta continuamente sui social i video delle proteste, in cui la brutalità del regime diventa sempre più evidente. Karimi è stato tra i primi personaggi pubblici ad addossare la responsabilità della morte della 22enne alla polizia per la Morale, dicendo ai suoi follower di credere alla versione della famiglia secondo cui è morta per le ferite riportate perché picchiata per non aver indossato correttamente l’hijab. Da allora, l’ex attaccante, considerato una leggenda in Iran dove il calcio è lo sport nazionale,
ha dedicato i suoi canali social a incoraggiare la rivolta. «Abbiamo imparato che queste sono bugie: i turchi in Azerbaigian non sono razzisti, i Rashtis non mancano di onore, i curdi non sono un problema di sicurezza.... È quasi come se queste fossero bugie state diffuse per dividerci». E poi ancora: «I loro figli se ne stanno andando. I nostri figli stanno morendo», ricordando cioè che i figli dei funzionari del regime stanno lasciando l’Iran e si stanno godendo la vita in Occidente; ma chi resta in Iran rischia la morte. «Sono solo un normale cittadino iraniano e non cerco alcun incarico o posizione per il mio attivismo. Cerco solo pace e prosperità per il mio popolo», ha aggiunto su Twitter. Karimi, il cui account Instagram ha 11,6 milioni di follower, ha anche consigliato come utilizzare le VPN per aggirare
il blackout di Internet e condividere in sicurezza i loro filmati online; e invitato l’esercito tradizionale iraniano (Artesh) a schierarsi con il popolo per evitare lo «spargimento di sangue». Il governo di solito non usa l’esercito tradizionale contro i manifestanti poichè si affida alle forze controllate dalla Guardia Rivoluzionaria e alle organizzazioni di intelligence per reprimere il dissenso. Karimi -che è anche noto per le sue numerose attività di beneficienza, come costruire scuole nelle aree più povere- durante una finale della Coppa del Mondo con la Corea del Sud nel 2010, indossò insieme a diversi giocatori iraniani una fascetta verde al braccio come dimostrazione di sostegno al leader dell’opposizione,
Hossein Moussavi, che aveva accusato il governo iraniano di brogli elettorali nelle elezioni presidenziali del 2009. Intanto le dimostrazioni in strada non si fermano e sono continuate anche nella notte.