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PRESENTAZIONE DELL AREA INDUSTRIALE INTERNA DEL CARCERE DI BOLLATE
C’è una notizia certa, vera, indiscutibile: si è suicidato, a Brindisi, un altro detenuto. Da inizio 2025, è il 72esimo recluso a essersi tolto la vita. A riferirlo è un dirigente sindacale della polizia penitenziaria, il segretario della Uilpa Gennarino De Fazio, che meriterebbe la nomina honoris causa di “Garante ombra delle persone private della libertà personale” (anche perché il Garante vero ha un tasso di pressione, nei confronti della politica, non misurabile).
È De Fazio, e non altri, a riferire che «un detenuto originario della Basilicata si è impiccato nelle scorse ore», e che i 72 gesti estremi verificatisi da inizio anno fra i detenuti, ai quali bisogna aggiungere «un internato in una Rems» e «4 operatori», costituiscono cifre «indegne per un Paese che voglia dirsi civile, e confermano il tragico trend degli ultimi anni». Del resto, aggiunge il segretario della Uilpa, «con 63.740 detenuti stipati in soli 46.183 posti, e considerate anche le carenze strutturali e infrastrutturali, le carceri sono invivibili». A Brindisi «le condizioni sono a dir poco proibitive: 232 i ristretti, allocati in 119 posti, con un sovraffollamento del 195%». E questo per confutare con argomenti di una certa consistenza la tesi del governo, secondo cui non vi sarebbe correlazione fra suicidi dietro le sbarre e celle pollaio.
C’è un’altra notizia. Si è riunita la cabina di regia per l’edilizia penitenziaria, per la quarta volta. Si sono confrontati, questa mattina a Palazzo Chigi, i più alti responsabili istituzionali del progetto che, nel giro di due anni, dovrebbe portare alla realizzazione di 10.692 nuovi posti, assai meno dunque dei quasi 17mila tuttora mancanti, come attestano i numeri riassunti da De Fazio. Dopo il summit sull’edilizia, il governo ha diffuso, in una nota, statistiche piuttosto ambivalenti.
Da un lato si rinnova la promessa di completare, già per l’anno prossimo, oltre la metà dell’opera di ampliamento: «Il cronoprogramma prevede l’apertura di 864 posti nel 2025» e di «5.754 nel 2026». Bene: quindi l’Esecutivo prevede un pur piccolo incremento della capienza, di 864 unità appunto, entro la fine di quest’anno. Novembre è praticamente finito, con i 72 suicidi già entrati nell’orrenda spoon river dei nostri istituti di pena, e ti aspetteresti che quanto meno una frazione di quel «Piano di Edilizia Penitenziaria» approvato, tiene a ricordare l’Esecutivo, il «22 luglio scorso», sia stata già “consegnata” ai direttori delle carceri. Almeno qualche decina, di quegli 864, almeno come gesto di impegno nei confronti di una popolazione detenuta così sofferente.
E allora vai a verificare: e parti dai dati riassunti da De Fazio che, si può aggiungere, si traducono in un tasso di sovraffollamento pari al 138% e che provengono dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e da Antigone; poi recuperi il report pubblicato un anno fa dalla stessa Antigone, dove si legge che «al 16 dicembre 2024, in Italia erano 62.153 le persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.320 posti» ma che «di questi posti, 4.462 in effetti non erano disponibili, per inagibilità o manutenzioni, e dunque la capienza effettiva scende a circa 47.000 posti» con un «tasso di affollamento effettivo pari al 132,6%». Antigone semplificava in «47mila»: eseguita la sottrazione, la cifra esatta sarebbe 46.858. Vuol dire che, da fine 2024, la capienza effettiva è diminuita di quasi 700 posti, anziché aumentare. Quell’incremento della capienza per 864 posti annunciato dal governo, dunque, non esiste, non se ne vede neppure la parvenza di un accenno. Siamo ai numeri negativi.
Forse è una minuzia. Ma contribuisce a dare il senso dello scarto fra le previsioni dell’Esecutivo e l’effettiva realtà del sistema penitenziario. A Palazzo Chigi, riferisce il comunicato, erano presenti il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, i due sottosegretari di via Arenula Andrea Delmastro Delle Vedove (di Fratelli d’Italia) e Andrea Ostellari (della Lega), il commissario straordinario per l’Edilizia penitenziaria Marco Doglio, e ancora «rappresentanti del ministero dell’Economia e delle Finanze, del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, di Invitalia, e i provveditori interregionali alle Opere pubbliche».
Si precisa che, pur assente, il titolare del “Mit” (nonché vicepremier) Matteo Salvini è tra i «promotori» della cabina di regia, la quale si riunisce «ormai» con «cadenza periodica». Certo è che, chiunque ne faccia parte e a prescindere dalla frequenza dei summit, questa task force dà un’impressione di impotenza, velleitarismo, e suscita anche un sospetto di sostanziale indifferenza alla tragedia delle carceri, un sospetto difficile da soffocare con un sussulto di fede nelle magnifiche sorti e progressive del sistema penitenziario.
Certo, sempre la nota di Palazzo Chigi ci informa che «dall’approvazione del Piano di Edilizia Penitenziaria da parte del Consiglio dei ministri del 22 luglio scorso, sono state pubblicate tutte le gare di competenza del Commissario straordinario per il recupero di oltre 4.000 posti detentivi» (puntualizzazione spiegabile alla luce di una “divisione di compiti” nell’ampliamento della capienza che annovera anche «2.636 posti a cura del Dap, 73 del Minorile e 3.314 del Mit»). Si legge ancora: «Gli interventi programmati, che comprendono manutenzioni ordinarie e straordinarie, nuove realizzazioni e ampliamenti, interesseranno la quasi totalità degli istituti penitenziari del Dap e del sistema minorile (17), per un costo complessivo nel triennio di oltre 900 milioni di euro».
Ma dichiarare la rilevanza dell’impegno finanziario rischia di essere un’aggravante anziché attenuare le responsabilità del governo. Pur a fronte di risorse evidentemente disponibili, il piano che ruota attorno al nuovo commissario straordinario Doglio, per il 2025, non è semplicemente in ritardo: è appunto “in perdita”. Mentre il conteggio di chi si è messo le lenzuola al collo o si è soffocato con un sacchetto, per la disperazione di una vita abbandonata dallo Stato, ecco, quell’asse del diagramma fa registrare cifre sempre e inesorabilmente in aumento.
A fronte di una prospettiva “edilizia” sconfortante, c’è una prospettiva politica che lascia semplicemente sconcertati. Era il 26 settembre quando, al congresso Ucpi di Catania, il presidente del Senato Ignazio La Russa (tra i pochi esponenti dell’attuale maggioranza a essersi spesi per rimediare al sovraffollamento non con fantomatiche aperture di nuovi spazi ma con un intervento sulla liberazione anticipata) annunciava il naufragio della mission da lui affidata a una “sua vice”, la senatrice dem Anna Rossomando: «Non ha trovato l’accordo con gli altri gruppi. A questo punto ciascuno metterà sul tavolo una propria eventuale proposta». Non se ne sono viste, di proposte in Parlamento. E convincersi che non si tratti di indifferenza diventa sempre più difficile.


