Benjamin Netanyahu ha concluso la sua visita di quattro giorni negli Stati Uniti e ha fatto rientro in Israele. Prima del decollo dalla base militare Andrews Joint Base, dove è giunto a bordo del Marine One, il premier israeliano ha visitato Monticello, residenza storica di Thomas Jefferson. Salito con la moglie Sara sull’aereo presidenziale israeliano, il Wing of Zion, ha rilasciato un’intervista a Newsmax in cui ha espresso ottimismo sull’evoluzione della guerra a Gaza.

«Spero che potremo concludere un accordo in pochi giorni», ha dichiarato Netanyahu, prospettando un possibile cessate il fuoco di 60 giorni, durante il quale verrebbero liberati i primi ostaggi. «Faremo uscire il primo gruppo e poi useremo i 60 giorni per cercare di negoziare la fine di tutto questo», ha spiegato, concludendo: «Sconfiggeremo questi mostri e riporteremo a casa i nostri ostaggi».

Nel frattempo, sul fronte settentrionale, l’esercito israeliano ha compiuto nuove operazioni in territorio libanese. Secondo quanto riferito dal quotidiano “L’Orient Le Jour”, le Forze di difesa israeliane (IDF) si sono infiltrate per circa 500 metri nel quartiere Ghassouna, nel distretto di Marjeyoun, dove hanno fatto esplodere un edificio. Nella notte, bulldozer e carri armati israeliani sono avanzati nella zona di Wadi Hounine, a sud della città di Adaisseh, dove hanno bloccato una strada e realizzato sbarramenti di terra. Sono stati segnalati anche voli di droni israeliani sopra vari villaggi del Libano meridionale.

Nonostante l’accordo di cessate il fuoco siglato il 27 novembre 2023 tra Israele e Hezbollah, i raid continuano. Le forze israeliane mantengono tuttora almeno cinque postazioni in territorio libanese, proseguendo con attacchi mirati, in particolare nel sud del Paese.

Sul piano diplomatico e istituzionale, continua a far discutere la decisione dell’amministrazione Trump di imporre sanzioni a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Intervistata da Associated Press all’aeroporto di Sarajevo, dove era in transito per partecipare alla commemorazione del 30° anniversario del massacro di Srebrenica, Albanese ha definito «scioccante» la misura statunitense. «I potenti stanno cercando di zittirmi per aver difeso chi non ha potere, se non quello di sperare di non morire o vedere i propri figli massacrati», ha dichiarato.

Albanese, giurista e investigatrice indipendente, ha ribadito le sue critiche alle operazioni israeliane a Gaza, che ha definito «un genocidio», accusa respinta con forza da Israele e dagli Stati Uniti. La relatrice Onu ha sottolineato che la sua missione è indagare sulle violazioni dei diritti umani nei territori occupati e ha denunciato l’impatto devastante della guerra: oltre 57mila palestinesi uccisi, secondo il ministero della Sanità di Gaza, che però non distingue tra civili e combattenti.

A quasi 21 mesi dall’inizio del conflitto, oltre due milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case nella Striscia. L’Onu ha segnalato una crisi umanitaria senza precedenti, con carenze estreme di cibo e assistenza sanitaria.

Dura la reazione anche da parte delle organizzazioni internazionali. Le Nazioni Unite, Human Rights Watch e il Center for Constitutional Rights hanno condannato la decisione degli Stati Uniti, definendola «un pericoloso precedente». Il portavoce del segretario generale dell’Onu, Stephane Dujarric, ha affermato: «Gli Stati membri hanno diritto di dissentire, ma li invitiamo a collaborare con l’architettura dei diritti umani delle Nazioni Unite».