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Mentre l’esercito israeliano (Idf) prosegue l’offensiva su Gaza City, l’ala armata di Hamas ha lanciato un avvertimento sulla sorte degli ostaggi ancora trattenuti. «I prigionieri sono sparsi per i quartieri di Gaza City – ha dichiarato l’organizzazione palestinese – perciò il nemico non catturerà un solo ostaggio vivo o morto».
Un messaggio che evoca lo spettro di una guerra di logoramento, destinata ad aumentare il “costo aggiuntivo” in termini di vittime per Israele. Intanto, secondo i dati dell’Idf, 450mila persone, quasi metà della popolazione stimata prima dell’inizio dell’ultima offensiva, hanno già lasciato Gaza City.
La tensione resta alta in tutta la Striscia. Nelle ultime ore quattro soldati israeliani sono rimasti uccisi dall’esplosione di un ordigno a Rafah, nel sud di Gaza. Le forze armate israeliane hanno confermato la notizia senza fornire ulteriori dettagli sulla dinamica.
L’emergenza si è estesa anche oltre i confini. Al valico di Allenby, fra Cisgiordania e Giordania, un attentatore ha ucciso a colpi di coltello due cittadini israeliani prima di essere neutralizzato dalle forze speciali. L’uomo era alla guida di un camion con aiuti umanitari destinati a Gaza. «Israele facilita gli aiuti umanitari a Gaza e i terroristi li sfruttano per uccidere gli israeliani», ha commentato il ministero degli Esteri di Tel Aviv.
Diplomazia internazionale
La guerra è stata al centro anche di un colloquio tra Donald Trump e il premier britannico Keir Starmer. Il presidente Usa ha ribadito che Hamas deve «liberare subito gli ostaggi israeliani», ammettendo che il riconoscimento dello Stato di Palestina resta «uno dei pochi punti di disaccordo» tra Washington e Londra. Sul fronte europeo, la Spagna ha annunciato l’apertura di un’indagine per valutare se le azioni di Israele a Gaza costituiscano “gravi violazioni” del diritto internazionale umanitario. L’Italia, attraverso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, conferma invece che il prossimo 22 settembre a New York aderirà con convinzione a una dichiarazione Onu con l’obiettivo di favorire la costruzione di uno Stato palestinese e far cessare le ostilità. «Riconoscere oggi la Palestina – ha detto Tajani – sarebbe solo un modo per lavarsi la coscienza. Serve invece un percorso serio per la pace».