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French Prime Minister Francois Bayrou addresses the National Assembly, prior to a parliamentary confidence vote that could bring him down, in Paris, France, Monday, Sept. 8, 2025. (AP Photo/Christophe Ena) Associated Press / LaPresse Only italy and spain
Triste solitario e finale François Bayrou getta la spugna e rimette il mandato di primo ministro nelle mani di Emmanuel Macron che lo riceverà domani all’Eliseo come impone il calendario istituzionale.
A nulla è servito l’appello alla «responsabilità» e all’«unità» tra le forze politiche, la sorte del suo esile governo era segnata da tempo e la sfiducia dell’Assemblea nazionale oltre costituire un inedito (non è mai accaduto nella Quinta repubblica) appariva un fatto scontato: 364 voti contrari e appena 194 a favore. La manovra finanziaria “lacrime e sangue” proposta da Bayrou per reagire all’impennata del debito pubblico e del deficit di Stato è stata rigettata dal Parlamento in modo inequivocabile.
È l’ennesimo capitolo della crisi innescata da Macron nel giugno 2024 con lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e la convocazione di nuove elezioni legislative. Un azzardo presidenziale che aveva lo scopo ufficiale di ottenere una maggioranza più solida e quello politico di limitare l’ondata nera del Rassemblement National di Marine Le Pen, trionfante alle europee del mese precedente. La scommessa è stata persa: l’Assemblea uscita da quel voto si è divisa in quattro tronconi: i centristi macroniani, la sinistra del Fronte popolare (France insoumise, socialisti e verdi), l’estrema destra del Rn e i neogollisti. In altre parole instabilità. Solamente il soccorso dei neogollisti e di qualche deputato socialista ha permesso di tenere in piedi fragilissime maggioranze e di bruciare due primi ministri in poco più di un anno. Ora il re è nudo e Macron si trova di fonte a un rompicapo di difficile soluzione.
Ha la possibilità di sciogliere ancora una volta il Parlamento e di convocare nuove elezioni, sarebbero le terze negli ultimi quattro anni, un altra configurazione mai avvenuta nella Quinta repubblica il che restituisce la dimensione della crisi. La Costituzione lo autorizza a farlo a partire dall’8 luglio scorso, un anno dopo le ultime legislative. Una volta annunciata, la dissoluzione deve portare a nuove elezioni entro 20-40 giorni: nel 2024 furono organizzate in appena 21 giorni.
Un ritorno alle urne rappresenterebbe un rischio sia per il blocco centrista vicino al presidente, già indebolito, ma anche per una sinistra divisa dopo la fine dell’alleanza del 2024. Tra la Lfi di Mélenchon e il partito socialista i rapporti sono infatti più che logorati e difficilmente potranno replicare l’esperienza unitaria del Front Populaire. L’unico partito che spinge con convinzione per un immediato ritorno alle urne è proprio il Rassemblement national, vezzeggiato da tutti i sondaggi e convinto di poter conquistare una storica maggioranza.
In ogni caso, dopo eventuali legislative, la scelta del premier spetterebbe di nuovo a Macron. Per prassi istituzionale dovrebbe nominare un esponente del partito arrivato in testa, anche con sola maggioranza relativa. Ma se un partito conquistasse la maggioranza assoluta, il presidente sarebbe costretto di fatto – se non giuridicamente – a designarne il leader, come avvenne nel 1993 con Mitterrand e il liberale Balladur.
Ma l’Eliseo farà di tutto per evitare il voto anticipato e proverà a trovare un nuovo premier. Per evitare che anche il successore di Bayrou cada alla prima prova d’Aula, è necessario individuare una figura in grado di ottenere sostegno trasversale o almeno una tregua parlamentare. Con un’Assemblea così frammentata, l’impresa è titanica.
Una maggioranza assoluta (289 seggi, oggi 288 per via di vacanze) potrebbe emergere solo da un’alleanza tra il blocco centrale (161 deputati), i Républicains (49), il Partito socialista (66) e gli ecologisti (38). Se la maggioranza assoluta restasse irraggiungibile, Macron potrebbe optare per un governo di minoranza, sostenuto dalla coalizione più ampia disponibile e costretto a negoziare di volta in volta per far passare qualsiasi provvedimento, come accaduto agli ultimi quattro premier (Borne, Attal, Barnier, Bayrou).
Ma un esecutivo di questo tipo resterebbe sotto costante minaccia di una mozione di sfiducia, la sua durata sarebbe probabilmente breve e agonizzante. Marine Le Pen ha già annunciato che l’RN voterà contro qualsiasi governo che non recepisca le «aspirazioni» del suo gruppo parlamentare (123 deputati) ma, a differenza di Mélenchon non chiede le dimissioni del presidente.