L’episodio che ha visto protagonista Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sui territori palestinesi occupati, continua a far discutere. La giurista aveva lasciato lo studio di In Onda su La7 dopo che era stata citata la posizione della senatrice a vita Liliana Segre sull’uso del termine “genocidio” a Gaza. A intervenire è ora Luciano Belli Paci, figlio della senatrice e membro dell’esecutivo nazionale di Sinistra per Israele, che in un’intervista al Corriere della Sera ha puntato il dito contro Albanese: «Fa parte di quella categoria, ahimè ampia, di persone che io definisco ossessionate da mia madre».

Belli Paci ha ricordato un precedente: «Albanese aveva postato una sua immagine davanti a un murale con il volto di mia madre e la parola “Indifferenza”, aggiungendo l’hashtag #GazaGenocide, come a dire che le dichiarazioni di Liliana Segre fossero in contraddizione con il suo impegno a non voltarsi dall’altra parte».

«Non ha letto le parole di mia madreº

Il figlio della senatrice ha chiarito: «Albanese evidentemente non aveva letto le parole di mia madre, che ha espresso repulsione per il governo Netanyahu e la destra fascistoide e razzista al potere in Israele; che ha pianto per i bambini di ogni nazionalità e denunciato i crimini commessi sia da Hamas sia dall’esercito israeliano. È bastato che dicesse di non usare la parola genocidio per scatenare disprezzo». Secondo Belli Paci, il dibattito italiano si è “militarizzato”: «C’è una sorta di polizia del pensiero: non solo bisogna dire certe cose, ma dirle in un certo modo. Questo distrugge il confronto democratico. La guerra è stata importata e contamina il dibattito, arruolando le persone da una parte o dall’altra». Ha poi ammonito: «La violenza fisica parte sempre da una violenza verbale e morale. Nel dibattito sul genocidio, che è oggetto di un procedimento internazionale, non può essere vietato sostenere una tesi diversa da quella di Albanese».