«Il vostro cammino verso l’indipendenza finanziaria. Con un piccolo investimento di 240 € avrete l’opportunità di raggiungere un reddito stabile. Immaginate che il vostro reddito aumenti ogni mese e che guadagnate fino a 45mila euro. Senza investire somme enormi e senza il rischio di perdere tutto». A parlare è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, o meglio, un video generato dall’intelligenza artificiale che, tramite la tecnica del deepfake, imita la voce e le sembianze della premier per indurre lo spettatore a investire poche centinaia di euro in cambio della promessa di una futura e imperitura rendita finanziaria.

Si tratta - inutile dirlo - di una truffa, che sfruttando voce e sembianze della premier tenta di indurre in errore chi vi si imbatte. La stessa sorte della premier era toccata, tra gli altri, anche a Salvini, Schlein, Calenda e al giornalista Fabio Fazio.

Un’inchiesta pubblicata dalla Reuters getta luce sul fenomeno e rivela come Meta «guadagna una fortuna» da annunci fraudolenti o che pubblicizzano beni o prodotti illegali.

I documenti di Meta su cui la Reuters è riuscita a mettere le mani - relativi al periodo 2021- 2024 - mostrano come l’azienda di Palo Alto guadagni attivamente dall’enorme mole di annunci truffaldini. Le proiezioni interne relative al 2024 hanno stimato che circa il 10% del fatturato annuo complessivo - pari a 16 miliardi di dollari - sarebbe stato generato dalla pubblicazione di annunci di truffe o prodotti illegali.

Un documento datato dicembre 2024 mostra come ogni giorno sulle piattaforme di proprietà di Meta - Facebook, Instagram e Whatsapp - vengano mostrati agli utenti 15 miliardi di annunci “ad alto rischio”; mentre un altro documento della fine del 2024 indica come Meta guadagni 7 miliardi di dollari di entrate ogni anno solo da questa categoria di annunci truffaldini.

Molti di questi annunci provengono da attori che agiscono in modo abbastanza sospetto da essere segnalato dai sistemi di sicurezza interna di Meta. Il problema è che l’azienda rimuove questi inserzionisti solo nel caso in cui i suoi sistemi predittivi automatizzati indicano una probabilità percentuale almeno del 95% che questi commettano una frode, nel caso in cui sia inferiore Meta, nonostante consideri che l’inserzionista possa facilmente essere un truffatore, gli addebita tariffe più elevate come penale, aumentando i suoi ricavi. Inoltre a causa dei sistemi di profilazione chi, per sbaglio o scientemente, clicca su un annuncio fraudolento vedrà sempre più annunci dello stesso tipo.

I documenti visionati dalla Reuters «presentano una visione selettiva che distorce l’approccio di Meta alle truffe» ha scritto il portavoce di Meta, Andy Stone, in una dichiarazione. Secondo Stone le stime che il 10% dei ricavi di Meta derivino da annunci di truffe e simili sono «parziali ed eccessivamente inclusive» e ha aggiunto che «noi combattiamo aggressivamente frodi e truffe perché gli utenti delle nostre piattaforme non vogliono questo tipo di contenuti, gli inserzionisti non le vogliono e nemmeno noi le vogliamo».

Allo stesso tempo però i documenti rivelano una ricerca interna di Meta i cui risultati mostrano che i suoi prodotti sono diventati un pilastro dell’economia globale delle frodi e come sia più facile per gli attori maligni fare pubblicità sulle piattaforme Meta che su quelli dei suoi concorrenti.

Le agenzie di controllo di vari Paesi hanno iniziato a chiedere a Meta maggiori sforzi nel combattere le frodi proprio in un momento in cui l’azienda di Palo Alto sta versando enormi quantità di denaro - circa 72 miliardi di dollari quest’anno - nell’intelligenza artificiale. E pur riconoscendo che si tratta di «un’enorme quantità di denaro» l’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, ha rassicurato gli investitori che l’attività pubblicitaria di Meta è in grado di finanziare l’investimento.

I documenti infatti mostrano come Meta abbia valutato i costi legati all’aumento delle pubblicità fraudolente rispetto ai costi derivanti dalle eventuali sanzioni pecuniarie. I carteggi indicano chiaramente che Meta punta a diminuire le sue entrate da questo tipo di attività, ma allo stesso tempo l’azienda teme che le brusche riduzioni dei ricavi pubblicitari che ne deriverebbero possano influenzare negativamente le sue proiezioni di guadagno.

Contestualmente l’azienda prevede sanzioni legate all’attività pubblicitaria fraudolenta fino a 1 miliardo di dollari, cifra ben al di sotto dei ricavi che Meta genera dalle pubblicità truffaldine. Meta infatti guadagna 3.5 miliardi di dollari solo dalle pubblicità che «presentano un rischio legale più elevato» come quelle citate in apertura e, piuttosto che intensificare il controllo sugli inserzionisti per tutelare i propri utenti l’azienda ha deciso d’intervenire solo in risposta ad un’imminente azione normativa.

Inoltre Meta avrebbe posto dei limiti rispetto a quante entrate è disposta a perdere nel contrasto alle inserzioni fraudolente. Un documento risalente allo scorso febbraio indica come nella prima metà del 2025 non sia stato consentito all’ufficio responsabile della verifica degli inserzionisti non è stato consentito di adottare misure che sarebbero potute costare all’azienda una quota pari allo 0,15% del fatturato totale, equivalente a 135 milioni di dollari sui 90 miliardi guadagnati da Meta nei primi sei mesi del 2025.

A ottobre del 2024, in un contesto di crescenti pressioni nel contrasto alle truffe online, i dirigenti di Meta hanno presentato a Zuckerberg un piano di «approccio moderato» nei confronti delle truffe. Ad ogni modo Meta sembrerebbe essersi impegnata nel diminuire le percentuali delle entrate derivanti dalle pubblicità fraudolente o illegali al 7,3% entro la fine di quest’anno, al 6% entro il 206 e al 5,8% entro il 2027. Non viene specificato quando dovrebbe essere portata allo 0%.

«Il sentimento che si prova è lo stupore - commenta Luca Poma, professore in Reputation management e Scienza della comunicazione presso l’Università Lumsa - è l’ennesima volta in cui Meta finisce in una tempesta reputazionale per la sua attenzione al profitto prima di qualunque altra cosa. È un’attitudine nota da anni, è l’ennesima fuga di documenti che mostra come Meta sia perfettamente conscia dell’utilizzo delle proprie piattaforme da parte di pedopornografi, trafficanti di droga e altri criminali e come le reazioni per ripulire piattaforma siano state blande. Ci sono stati numerosi casi di ex dipendenti di Facebook che dopo essersi licenziati hanno fatto emergere come, sia negli Usa che in Europa che in Italia, Meta sottostima rischio reputazionale e non risponde alle domande che gli vengono poste. L’unico motivo per cui l’azienda non è già fallita è che è in una posizione dominante».